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Aggiornato: 21 giugno 2025


Oimè, che son fuor di cervello: non so chi sia stato, chi sia, chi debba essere. Son dispettoso, colerico e disperato: dubito che non s'apra la terra e m'inghiottisca, so come mi sostegna. Son odioso agli uomini e a Dio, so se viva al mondo uomo di me piú disgraziato.

Oimè, che or ora m'uccidi la mia figliuola! ché allora pensando al mancamento ch'avea fatto all'onor suo, mosso dalla disonestá del fatto, il desio della vendetta non mi facea sentir la doglia.

Oimè! lo sento, qualche cosa si è spezzato nel mio organismo un nonnulla forse, una mollecola spostata ma è tutto; io non ritrovo più il filo che dirigeva questo fantoccio me lo sono lasciato sfuggire di mano in nome del cielo ditemi dunque se queste sono le mie gambe, se queste sono le mie braccia...."

FORCA. Ho fatto quanto ho saputo e potuto, e v'è successo ogni cosa contra la vostra opinione: questo è vizio della imperfetta nostra umana natura, ché discorgendo un ingegno, per savio che sia, sempre suol restare ingannato. PIRINO. Ma cosa si ha piú astuta della disgrazia? Oimè, oimè! FORCA. Rincora te stesso e sta' in buon animo.

Non so come io mi tenga che io non ti tragga la vita del corpo. Ma prima voglio uccidere, a' tua occhi veggenti, colui che tu hai in camera, ribalda! E poi, con le mie mani, a te cavar gli occhi della testa. FULVIA. Oimè, marito mio! che cosa è quella che te muove a fare me rea femina, che non sono, e te crudele omo, ove fin qui non fusti mai? CALANDRO. Oh svergognata!

Ma quando venne il Conte Giordano Lancia si diè delle mani nel volto piangendo, e gridando: Oimè! signor mio, che è quel ch'io veggio! signor buono, signor savio, chi ti ha così crudelmente tolto di vita! Rispose lo Re: le fairois-je volontiers, si lui ne fùt excommunié.

Ca te sia data stoccata catalana alla zezza manca, ca ce capa dintro lo Castiello co l'artigliarie e onne cosa! non me ne mandare chiú de chesse giasteme, ca me fareste diventare no pizzico de cenere. CAPPIO. Oimè! GIACOCO. Oimè, ca trona: va', frate mio, ca marzo se ne trase. CAPPIO. Non sguazzaremo dunque? GIACOCO. « mai» disse Cola da Trane.

Non sai tu che i compagni d'amore sono ira, odii, inimicizie, discordie, ruine, povertá, suspezione, inquietudine, morbi perniziosi nelli animi de' mortali? Fuggi amor; fuggi. LIDIO. Oimè! Polinico, non posso. POLINICO. Perché? FESSENIO. Per mal che Dio ti dia. LIDIO. Alla potenzia sua ogni cosa è suggetta.

PRUDENZIO. Alzalo dunque a quel modo, ché volo ut tu discas che totiens quotiens... MALFATTO. Non ce vole venire, vedete. PRUDENZIO. Alla , che, quando te do a fare i latini, voglio che tu li facci meglio che se fussino in vernacula lingua. LUZIO. Oimè! oimè! oimè! oimè! MALFATTO. Non me date a io, che ve venga lo cancaro! LUZIO. Oimè! oimè! Dio mio! MALFATTO. Oh potta del diavolo!

Almeno l'avessi saputo un anno prima, ché a poco a poco mi avessi avezzo a disamarla. PANURGO servo, ESSANDRO. PANURGO. Veggio Essandro di mala voglia. Padron caro, che cosa avete? ESSANDRO. Oimè, son morto! PANURGO. Cattivo principio! cada questo augurio sovra chi ci vuol male. ESSANDRO. È pur caduto sovra di me, ché non è misero stato col quale non cambiassi il mio.

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