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Aggiornato: 21 giugno 2025
NEPITA. Se fussi gravida, mi sgravidarei: l'ha narrato con tanto sapore che m'ha fatto venir la saliva in bocca. SANTINA. Oimè, che dici? GERASTO. Quanto ascolti. NEPITA. Alfin, tu serai stata la ruffiana a tua figlia, che la tenevi in gelosia sempre serrata con lei. SANTINA. Ahi, che mirandola oggi in fronte gli leggeva il commesso peccato! Ma chi avesse potuto pensar questo?
Di' pur: come si fará ora? SAMIA. Lo spirito lo rifará maschio. Vengo dal negromante che m'ha data questa polizza ch'io la porti a Fulvia. FESSENIO. Lassamela leggere. SAMIA. Oimè! non fare, ché forse te ne avverria qualche male. FESSENIO. S'io dovesse cascar morto, vedere la voglio. SAMIA. Guarda, Fessenio, quel che fai. Le son cose da demoni. FESSENIO. Non mi dá noia. Mostra pur qua.
Sappi che Dio ci ha fatto due orecchi per udire assai. FESSENIO. Ed una sol bocca per parlar poco. POLINICO. Non parlo teco. Ogni mal fresco agevolmente si leva; ma poi, invecchiato, non mai. Levati, dico, da questo tuo amore. LIDIO. Perché? POLINICO. Non ve arai mai se non tormenti. LIDIO. Perché? POLINICO. Oimè!
FESSENIO. Santilla nostra? FANNIO. Piano. Essa è. Io son Fannio. FESSENIO. Oh Fannio mio! FANNIO. Non far qui dimostrazion, per buon rispetto. Fermo e cheto! SAMIA, FESSENIO, LIDIO femina, FANNIO. SAMIA. Oimè! uh! uh! uh! trista me! Oh povera padrona mia, che, in un tratto, svergognata e ruinata sei! FESSENIO. Ch'hai tu, Samia? SAMIA. Oh sventurata Fulvia! FESSENIO. Che cosa è questa?
Prego la vostra bontá, ché sovra di me pigliate la vendetta della morte di vostra figliuola e dell'offesa dell'onor vostro. EUFRANONE. Oimè, che le vostre parole m'hanno passato l'anima: voi avete ucciso lei, me e la madre in un colpo, e uccisi nel corpo e nell'onore!
ANTIFILO. Oimè, mi trema la mano, e pare che sia paralitico. So che qui dentro non ci può esser cosa che buona sia. Leggerò pure. «Voi mi chiamate selvaggia, ingrata, disamorevole, empia tigre, crudelissima vipera e velenoso basilisco. Ma se son tigre, perché mi segui? se son vipera, perché mi servi? se basilisco, perché mi miri?
«Ah!» sclamò finalmente Emilia; «è inutile che me lo diciate. Il vostro silenzio, i vostri sguardi parlano abbastanza; egli è morto. Oimè! mia cara padrona,» rispose Teresa colle lacrime agli occhi, «questo mondo è pieno di affanni. I ricchi ne hanno la lor dose come i poveri; ma procuriamo di sopportare in pace il carico che ci manda il cielo. Egli è dunque morto?» interruppe Emilia. «Ah!
Allorchè le convulsioni furono alquanto cessate, Emilia, vedendo che sua zia aveva bisogno di riposo, disse: «Andate, Carlo, se avremo bisogno di soccorso vi manderò a cercare; ma intanto, se ve se ne presenta l'occasione, parlate al signor Montoni a favore della vostra padrona. Oimè!» rispose Carlo; «ne ho vedute troppe! ho poco ascendente sul cuore del mio padrone.
Timaro, fa' portare a questa donna, a casa, un'altra soma di farina; e, se vuole ancor altro qui di casa, dálli quello che vuole. ARTEMONA. Oimè meschina! Vivrò mai tanto che mi sia concesso rendere in cambio di sí larghi doni, non parole, ma fatti? E forse tali che tu sempre cognosca tanto bene non aver fatto, se ben poverina, a donna ingrata.
La vita mi sembra uno di quei calendari ove non si può leggere la pagina di sotto se non si strappa la pagina che sta sopra; con questa gran differenza che nei calendari si sa sempre che giorno succede al giorno in cui siamo; nella vita non si sa mai che cosa ci serba il domani e che cosa noi saremo domani. «Oimè, una scampanellata!... Chi può essere, con questo tempo?
Parola Del Giorno
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