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Aggiornato: 20 giugno 2025


PILASTRINO. Del tuo resto, s'io posso. GIRIFALCO. Ghiottoncella, che m'hai cavato il fiato! Ma ti voglio cavare a te de gli occhi quel riso e quelle frasche. PILASTRINO. E però è buono che sia venuto qui questo mio amico; perch'è persona che ti saprá dire la cosa come sta e forse trarti d'ogni tuo affanno. GIRIFALCO. E che induggiamo, adunque? PILASTRINO. Non si può far, di giorno.

ATTILIO. O madre, o cara madre, o tre volte madre, perché tre volte m'hai donato l'essere! O cieli troppo potenti, troppo influenti! o stupori, o meraviglie grandi, che da moglie mi diventi sorella e da sorella moglie! Ma Cleria che facea?

Con che abbondanza di parole lo dici! Tu m'hai l'aria d'uomo che non ist

Ho vinto! abbiamo vinto, Beltramo; cinque ne perdono.» «Segna al muro, a scanso di liti.... O Vergine gloriosa! Perchè non m'hai chiamato prima, Drengottodisse Beltramo, e si affaccendò a rifasciargli la ferita. «Sta benerispose Drengotto sorridendo «ma fermati, che oggimai tu faresti opera vana.

L'amore; e non debito bisogno che tu abbi di noi, però che noi siamo rei e malvagi debitori. Se io veggo bene, somma ed etterna Veritá, io so' el ladro e tu se' lo 'npiccato per me; perché veggo el Verbo tuo Figliuolo conficto e chiavellato in croce, del quale m'hai facto ponte, secondo che hai manifestato a me, miserabile tua serva.

Tu m'hai con disiderio il cor disposto si` al venir con le parole tue, ch'i' son tornato nel primo proposto. Or va, ch'un sol volere e` d'ambedue: tu duca, tu segnore, e tu maestro>>. Cosi` li dissi; e poi che mosso fue, intrai per lo cammino alto e silvestro. Inferno: Canto III Per me si va ne la citta` dolente, per me si va ne l'etterno dolore, per me si va tra la perduta gente.

VIRGINIO. Il dico io, ché mi tocca: bench'io stesso mi feci il male, dandola a nutrire a te che sapevo chi tu eri. CLEMENZIA. Virginio, non piú parole. S'io son stata una trista, m'hai fatta tu. Sai bene che, prima che tu, non mi ebbe altri che il mio marito. Io dico che le fanciulle si voglion trattare altrimenti.

Ti sognai, ti cercai: ne l'infinita Luce del ciel, nei cupi abissi orrendi Sempre in traccia di te corsa ho la vita, O eterna Idea, che umana forma or prendi; Vista t'ho innanzi a me, t'ho in cor sentita, Sempre acceso m'hai tu come or m'accendi; Or che t'aggiungo, e intero alfin son io, Son colmi i fati, ed il trionfo è mio.

PANURGO. S'è inviato a dir a Sua Eccellenza; e fatto tòrre informazione del successo, ha dato ordine che tu sii giustiziato. ESSANDRO. M'hai tornato vivo, che non fu mai piú cara morte, perché d'ora innanzi arei sempre aborrita la vita. PANURGO. Ascolta fin al fine. ESSANDRO. Non posso ascoltare, perché attendo al fatto mio. PANURGO. Questi sono i fatti tuoi.

Il perchè voglio che quella via, che ci resta, la consumiamo nel ragionamento cominciato, toccando brevemente quel che vi rimane, e che più particolarmente mi dica quelle cose, di che leggiermente passando m'hai accennate: se nessune però ce ne sono, acciocchè io possa raccorre il tutto di quelle che noi disputiamo, quasi come se io avessi mangiate le cose ben digerite.

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