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ERASTO. Giá deve esser la cittá tutta sepolta nel sonno e la mezanotte passata. DULONE. Ed io stimo che non sieno ancor le due ore: voi misurate l'ore col vostro desiderio. ERASTO. Il tuo orologio è zoppo e flemmatico, si muove sempre tardi. DULONE. E il vostro, spinto dal caldo dell'ardente desio, tocca assai presto: a chi aspetta non corre l'orologio.

Nove anni a pena in ciel Febo rivolse, Ch'andò la genitrice a l'ore estreme; Quinci di Creta il genitor si tolse, Perch'ebbe in Cipro d'avanzarsi speme: Dunque su legno, che primier disciolse Fidò se stesso, e noi suoi figli insieme, E non grande tesor: solcammo i mari, E fummo colti da' ladron corsari.

Poi, si poneva al telajo, intanto che la mamma riposava ancora; e per guadagnar l'ore, ricamava fiori, festoni e ghirlande in que' trasparenti tessuti che rapivano gli occhi, e de' quali nessuno doveva esser per lei.

E seco s'allegrò, che fosser frali State l'armi nemiche, onde ei s'afflisse; Ma che del pregio suo palme immortali Fama nel mondo tesserìa, gli disse. Rispose Trasideo: l'ore mortali Non fu veduto mai ch'altri fuggisse, E de l'uomo caduco il viver breve Rendere eterno col valor si deve.

Ma la Stella, co' suoi sedici anni, colla sua fede innocente e sicura, andava incontro alla vita, senza sgomento, senza dolore. Essa, nel segreto, indovinava ciò che doveva passare in cuor di sua madre, e qualche cosa sospettava anche dell'angoscia di Damiano. Pure, l'affettuoso costume di lei, quell'antiveggenza che solo appartiene a' cuori semplici e buoni, le avevano insegnato come far meno gravi e meno lunghi alla madre e al fratello l'ore della fatica, come rallegrare la muta alternativa del lavoro e della povert

Non fate lor mai prego moina: se vengon, bene, io gli saluterei; se no, non darei foco alla fucina, perocché a mostrar lor zolfo e premura, e' se la prendon poi senza misura. Quel buona lana Ansuigi attendeva: era alle ventitré l'appuntamento; scoccaron l'ore e mai non si vedeva.

"Come son lunghe, eterne L'ore del prigionier!" Canta il tenore nel secondo atto del Pipelet, e se noi non cantavamo queste parole, se ne comprendeva però in quei momenti tutta la desolante verit

Ma ci provammo in van; scura mia vita, Chè de gli afflitti non ha ben la speme; Pugnai, ma come vedi empia ferita E le mie forze, e le mie membra ha sceme; Così carca di pena aspra infinita Corro languendo inverso l'ore estreme; Pur del punto mortal prendo diletto Che porrammi d'Alfange anzi il cospetto.

Di tanto in tanto infatti, da qualche miglia lontano, perveniva all'orecchio del Palavicino il suono del martello d'un orologio che batteva l'ore, ma quel suono, reso muto e senza oscillazioni, anzichè rompere, accresceva la tetraggine del silenzio; di tanto in tanto dalle cascine gli perveniva qualche latrato, qualche muggito, qualche voce umana, qualche canto; ma tutto s'improntava di una tetra mestizia che gli pesava sull'animo.

In mezzo a quella colluvie di pensieri che passarono per la sua mente in un anno, quattro mesi e non so quanti giorni, il pensiero della sua Ginevra si mantenne sempre, dal più al meno, a galla di tutti gli altri, e quasi sempre la gentile e mesta immagine di lei aveva fatta la prima figura, tra quel vortice delle altre mille che a tutte l'ore gli si schieravano innanzi in lungo periodo di tempo. In quegli ultimi mesi però, a dir tutto con verit