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44 Quanti prieghi la notte, quanti voti, offerse al suo Macone e a tutti i dei, che con miracoli apparenti e noti mutassero in miglior sesso costei! ma tutti vede andar d'effetto voti, e forse ancora il ciel ridea di lei. Passa la notte; e Febo il capo biondo traea del mare, e dava luce al mondo.

al suon de la dolcissima armonia ferman le penne i tempestosi venti; stanno i giri del ciel taciti e intenti; e non ch'altri, ma Febo il corso oblìa. E qual alma mortal la mira e ascolta, ad ogni uman disìo tutta si toglie e con tutti i pensieri al cielo aspira. La mia, che mai da lei non si discioglie, col vago spirto suo da Amore accolta a quel si stringe, e 'ntorno a lei s'aggira. Dello stesso

, se l'alba risorge, o 'l carro ardente Lava ne l'Ocean Febo dorato, Egli arso, egli anelante unqua consente Pur da se dilungarsi il viso amato; Ed oggi a riguardar l'armata gente In real seggio ei la si vuol da lato, Perchè del campo ciascun'alma inchina Volga le ciglia in lei, come in reina.

Non disse motto ma porgendo d'una mano la morta allodola ad Augusto, posò l'altra sulla spalliera d'una sedia, e vi si lasciò cadere con abbandono. Augusto una giravolta sui tacchi, chiamò a Febo, e s'allontanò fischiando fra i denti. Rimasi solo con essa. Il cuore mi batteva a spezzarsi.

Salita era la notte al sommo cielo e rilucea nel mezzo del suo cerchio la sorella di Febo, il bianco volto tutta splendente del fraterno lume. Taceva il mondo, in pe' lor vestigi tacite si volgean l'eterne spere; taceano i venti e 'l mar; tacea la terra e con lei piani e colli, e monti, e valli. Sol nel silenzio d'ogni alma vivente non tacea Mopso: e non taceva amore dentro al suo petto.

Dolce amor, dolce musa: e non vaneggio; non è 'l mio sogno; no, che viva e vera ti veggio alma mia diva; e tal ti scorgo qual ti scorgono e Febo e tue sorelle a l'onde di Permesso; e qual ti scorge la sorella di Febo entro al suo giro. Quant'è la gioia mia?

l'oste in trapassar non men guerriera, Ch'altieramente dimostrossi adorna; E quando da mostrarsi altri non era, Verso i tetti reali il Re sen torna. Ma fin, che Febo il carro inchini a sera, La plebe i ferri ad apprestar soggiorna Dentro le tende, ed hanno i cor conversi A via più farli impiagatori, e tersi.

68 Era ne l'ora, che trae i cavalli Febo del mar con rugiadoso pelo, e l'Aurora di fior vermigli e gialli venìa spargendo d'ogn'intorno il cielo; e lasciato le stelle aveano i balli, e per partirsi postosi gi

tu se' un dio, gli altri dèi son dèi; sono squagliate omai le antiche fole; ma perch'io tengo ancor di muffa un poco, scandalezzando ognun, te, Febo, invoco. Difendi almen la povera mia pelle dall'ugne di seimila e piú Marfise, che son rimaste vecchiette e donzelle, perché non han le bizzarrie recise.

I non era Teseo anco Alcide o chi nel ventre il gran Piton disruppe, che fronteggiar bastassi un mostro tale; onde spiegai pur anco al corso l'ale. Febo. Ma poi che da l'incerta e 'nstabil fiera esser mi vidi al trar d'un arco lunge, fermo mi volgo; ed egli, sua primera forma cangiando, in doi corpi si sgiunge: questo di donna, vago, pronto, ameno; quel d'un formoso e bianco palafreno.