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DON IGNAZIO. Eufranone mio carissimo, Dio sa con quanto dolore or ascolto le vostre parole e se mi pungano sul vivo del cuore!

E per non piangere tentò di ridere. La ringrazio marchese di queste buone parole disse Enrico stringendogli affettuosamente la mano. Ma ora tutto è impossibile; non potrei più stare a Milano lo stesso.... Andiamo dunque lei, don Ignazio, signor burbero benefico, faccia la pace col suo pupillo e gli perdoni ogni cosa. Siamo stati giovani anche noi... che diavolo!

DON IGNAZIO. Certo non farei tanto torto alla sua bontá, alla mia qualitá; l'importanza del negozio il tempo richiede questo. ANGIOLA. Poiché le vostre costumate parole, degne veramente di quel cavaliero che voi sète, m'hanno sgombro dal cuor ogni sospetto, eccomi pronta ad ogni vostro comando.

DON IGNAZIO. Eufranone carissimo, Dio vi dia ogni bene! EUFRANONE. Questa speranza ho in lui. DON IGNAZIO. Come state? EUFRANONE. Non posso star bene essendo cosí povero come sono. DON IGNAZIO. Servitivi della mia robba, ché è il maggior servigio che far mi possiate. Copritevi. EUFRANONE. È mio debito star cosí. DON IGNAZIO. Usate meco troppe cerimonie. EUFRANONE. Perché mi sète signore.

SIMBOLO. Poiché sète sazio della sua vista, partiamoci. DON IGNAZIO. Che sazio? Gli occhi miei, in cosí lungo digiuno assetati, nel convivio della sua vista se l'han bevuta di sorte che son tutto ebro d'amore.

Scrivono taluni, che vi rimanesse ferito anco Ugo Bassi, ma non è vero; cadde prigione soltanto ed ecco come: di lui diremo sparsamente più volte, intanto si sappia com'ei preso da sacro furore in guerra sembrasse una spada brandita dall'angiolo della sterminazione: in pace tanto nel suo petto soprabbondava l'amore, che non pure amava i propri simili, ma di smisurato affetto proseguiva anco le bestie; pari in questo a San Francesco, che chiamava sue sorelle le rondini, e fratello il lupo; però non è da dirsi quanto egli fosse attaccato a certa sua cavalla storna compagna inseparabile dei suoi perigli e delle sue pellegrinazioni: ora mentre montato su questo animale egli scorre lungo la fronte del nemico, tutto fiamma nel volto con forti parole soffiando nella virtù dei nostri perchè divampasse più gloriosa, ecco otto colpi di moschetto mandano sottosopra cavalcatura, e cavaliere: per fortuna tutte le palle penetrarono nel corpo alla bestia, il Bassi andò incolume, che rilevatosi indi a poco e vista morta la compagna le s'inginocchiò a lato, con molto pianto abbracciandola e baciandola; le chiuse gli occhi, le recise parte dei crini e se li ripose in petto conforme costumano gl'innamorati con le chiome dell'amata donna: i Francesi lo colsero in cotesto atto, lo pigliano, lo spogliano, e se lo cacciano innanzi percotendolo con isconce battiture, in modo pari a quello che gli Spagnuoli praticarono con Ignazio da Loiola; se non che la leggenda narra, che Ignazio rapito in estasi o non sentiva i calci, o gli aveva per grazia, mentre il povero Ugo, io metto pegno, che non ne provasse piacere.

DON IGNAZIO. O mio caro fratello, o mio carissimo don Flaminio, ché piú desiderata novella non aresti potuto darmi in la mia vita! DON FLAMINIO. Con patto espresso ch'abbiate a sposarla per questa sera. DON IGNAZIO. Or tal patto non potrò osservarlo. DON FLAMINIO. Come? DON IGNAZIO. Perché non basterei a contenere me stesso in tanto desiderio di non gir a sposarla or ora.

SIMBOLO. Or non potrebbe esser che quella notte vostro fratello v'avesse ingannato? DON IGNAZIO. Non sai che dici. SIMBOLO. Dico cose possibili e dubbiose ancora. DON IGNAZIO. Non merita una sua pari le sia portato tanto rispetto. SIMBOLO. Considerate che nella sua famiglia si raccoglie tutta la nobiltá di Salerno, e facendo ingiuria ad uno macchiate molti.

È un artista, è vero, ma che artista! Bell'uomo! Ricco... assessore municipale.... Va bene; ma non fa bisogno di rispondergli subito. Ebbene, faremo così disse don Ignazio. Lo inviterò a pranzo e intanto la Elisa avr

EUFRANONE. Lo dico ad effetto, ché forsi, non contentandosi del matrimonio, inventassero qualche modo per disturbarlo, onde venissi a perdere quel poco di onor che mi è rimasto. DON IGNAZIO. O Dio, quanta téma e quanto sospetto!