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Aggiornato: 1 giugno 2025
Ah, che testa, che testa! gridò don Ignazio giungendo le mani in atto di maraviglia. Ma gi
DON IGNAZIO. Non vi ho io dimandato piú volte se in quel giorno della festa vi fusse piaciuta alcuna di quelle gentildonne, e mi dicesti di no? DON FLAMINIO. Era cosí veramente; ma essendomi offerta costei con mio poco discomodo, me ce inchinai. LECCARDO. Signor don Flaminio, Carizia v'aspetta agli usati piaceri, e che le perdoniate se vi ha fatto aspettar un poco.
Si sdegnará con voi e forsi vi privará di quella parte di ereditá ch'avea designato lasciarvi: perché gli errori che si fanno ne' matrimoni, dove importa l'onor di tutta la famiglia, si tirano gli odii dietro di tutto il parentado e principalmente de' fratelli e de' zii. DON IGNAZIO. Purché abbia costei per moglie, perda l'amor del fratello, del zio, la robba e ogni cosa, fin alla vita.
CARIZIA. Il dono è ben degno di lui; nondimeno..., ma ben sapete che il rigor dell'onestá delle donzelle non permette ricever doni. DON IGNAZIO. Signora, non fate tanto torto alla vostra nobiltá né tanto torto a me: rifiutar il primo dono di un sposo. Accettatelo, e se non merita cosí degno luogo delle vostre mani, poi buttatelo via.
Oh per il male che ha fatto a me rispose don Ignazio tirando una presa di tabacco io gli ho gi
SIMBOLO. Veramente delle donne se ne deve far quel conto che dell'erbe fetide e amare che serveno per le medicine, che cavatone quel succo giovevole si buttano nel letamaro: come l'uomo si ha cavato quel poco di diletto che s'ha da loro, nasconderle ché piú non appaiano. DON IGNAZIO. Veramente la femina è un pessimo animale e da non fidarsene punto.
Qua si tratta del vostro onore: io son quello che t'ho tradito, infamato e tolta la sposa. Tu sei infame di doppia infamia se non te ne vendichi. Vorrei trovar le piú pungenti parole che si ponno, per provocarti ad un giustissimo sdegno. DON IGNAZIO. O tu che non vo' dir mio fratello, fatti indietro, non mi toccare, allontana da me le tue mani profane, ché non macchino il mio corpo!
DON IGNAZIO. Son disposto far quanto tu mi consigli. SIMBOLO. Ecco madonna Angiola che viene a casa. DON IGNAZIO. Signora Angiola, ho desiato gran tempo ragionar con voi d'un negozio importantissimo. ANGIOLA. Eccomi al vostro commodo: ben la priego a non trattarmi di cosa che men che onesta non sia.
Huyghens! nientemeno.... mormorò Ignazio, che sentiva questo nome per la prima volta. Gi
Andrò in casa di don Flaminio che deve aspettarmi. DON IGNAZIO. Dura cosa è l'aver a far con i servidori: sa ben Simbolo quanto desio di andar a trovar mon'Angiola, e non ritorna. Ma eccolo. Come hai fatto aspettarmi tanto, o Simbolo? SIMBOLO. Come saprete quanto ho fatto in vostro serviggio, mi lodarete della tardanza.
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