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Aggiornato: 23 giugno 2025
FILIGENIO. Vorrei un schiavo nero di diciassette in diciotto anni, di garbo e di fattezze signorili, per farne un presente ad un signor principale. MANGONE. Per ora non potrei servirvi, ché ho venduti quasi tutti i miei schiavi; ma spero accommodarvene fra poche ore, ché lo torrò da certi amici. FILIGENIO. Giá l'hai trovata. Dici che vuoi tòrlo da certi amici per venderlo piú caro.
FILIGENIO. E se non fusse che veggio persone di maggior etá e condizione, anzi di quei che governano al mondo, inviluppati in simili materie, mi dispererei; ma con l'essempio di persone cosí degne allevio gli affanni miei. Ma eccolo: Forca, Forca; mi son accorto di te ben, sí! FORCA. Vengo, padrone. FILIGENIO. Come serpe all'incanto. Giá sleghi lo sacco delle bugie per vomitarmele adosso.
ALESSANDRO. Pregandomi come di cosa dove ci va l'onore e la vita; e mi vennero, insieme con l'altre, molte lettere di cambio, se mi bisognassero come di danari. FILIGENIO. Danari non sarebbono mancati a me in vostro servigio. ALESSANDRO. Replicandomi: non essendo servati da me come si richiede, rimarrebbono ruinati. Son uomini veramente di sommo valore e degni d'esser serviti.
FORCA. Io, quando lo vedo tiepido e disamorato, l'aguzzo l'appetito. FILIGENIO. Talché tu sei il maestro. FORCA. Maestro io? signor no, è il maestro del Studio. FILIGENIO. Che Studio? che signor no? Di che parli tu? FORCA. E voi di che parlate? FILIGENIO. Io parlo della sua puttana.
FORCA. Quei che sono cattivi, stimano che tutti gli altri sieno cattivi. FILIGENIO. Dunque, io son un tristo che stimo te il piú tristo uomo del mondo? FORCA. Non dico questo io, né è convenevole a un servo dirlo: ma guardatevi che non lo dica altri a cui piú conviene.
Non si vede in costui quel naso schiacciato, quelle labra grosse rivolte in fuori; sempre col riso su le labra, e per lo volto e per gli occhi fiorisce la sua allegrezza; anzi, quanto piú lo miri piú ti piace mirarlo: or se fusse bianco, che si potrebbe mirar cosa piú bella? e ti giuro che mi par ora piú bello che quando lo comprai poco anzi. FILIGENIO. Hai ragione, è vero quanto dici.
ALESSANDRO. Ditemi se di giá avete comprato lo schiavo e dove sia. FILIGENIO. L'avea comprato giá e ridotto a casa; poi, venuto il dottore, mi disse ch'era la bagascia di mio figlio, tinta la faccia di carboni, vestita da maschio; l'ho cacciata di casa e lasciatala a lui. ALESSANDRO. O Dio, che cosa mi dite? O fortuna traditora, a che son condotto! io son il piú disperato uomo del mondo!
Oh, siate il ben venuto: da lui potrete intendere il vero. ALESSANDRO. Vengo desioso a trovar Filigenio mio amicissimo. FILIGENIO. Anzi capitalissimo inimico; e vo' piú tosto l'odio di molti, che la tua amicizia,
Servirò voi e il vostro figlio con grande amore; e se voi mi compraste con prezzo d'oro, a lui m'ho reso schiavo con prezzo di amore: e certo che riconosciuto che sará il mio amore, sarò degno di libertá. MANGONE. Il nome val ogni dinaro: sará certo nato nobile nel suo paese, perché ancora nelle miserie spira la sua nobiltá. FILIGENIO. Di che paese sei? MELITEA. Di Pirinaica.
FORCA. Gionto in casa sua, si butta sul letto supino, se la toglie in braccio e se la squinterna sul ventre e se l'accomoda innanzi: volta di qua, volta di lá, non la fa star mai ferma per tre o quattro ore, finché stracco non va tutto in acqua. FILIGENIO. E ti par questa buon'opra? FORCA. Buonissima, eccellentissima. FILIGENIO. E tu sei quello che lo guidi e aiuti?
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