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Aggiornato: 23 giugno 2025
Padrone, voi mi avete per un tristo, perché son troppo buono: ché a tempi d'oggi per esser stimato buono dal tuo padrone, bisogna rubbarlo, assassinarlo a tutto suo potere. Ma perché mi stimate cosí tristo, che effetto cattivo avete di me veduto? FILIGENIO. Puoi negar tu che non sia il maggior ribaldo del mondo?
FILIGENIO. Né voi sapete quello che voglio rispondere. Non meritava questo l'amor che vi ho portato; e v'ho stimato gen- tiluomo, né vi diedi cagion mai di dolervi di me, ma servirvi di quanto ho potuto. ALESSANDRO. Confesso aver ricevuto da voi molti favori, e confesso parimente non averli riservíti non per mancamento d'animo, ma d'occasione.
Ho lasciato detto che desiava parlargli, e insegnatali la casa mia. Ma io vi tornerò, come arò fatta stima che abbia desinato. FILIGENIO. O Mangone, o Mangone! MANGONE. Chi mi chiama? FILIGENIO. Chi t'apporta guadagno: vòlgeti. MANGONE. Non è cosa al mondo a cui mi volga piú volentieri. Ditemi, che guadagno mi apportate?
FILIGENIO. T'impegno la fede mia che non sará per saperlo giamai. FORCA. Dubito che voi lo scoprirete un giorno, ed egli mi salterá adosso con un bastone; e non sapete che tremo in sentirlo nominare? FILIGENIO. Non dubitar, dico, ché quando io non bastassi a difenderti, sarei uomo da farti franco e mandarti via. FORCA. So che lo risaprá, e le spalle ne patiranno la penitenza.
FILIGENIO. Veggio venir il dottor verso me: qualche altra burla aranno scoverta di Forca: non sará per finir tutto oggi. DOTTORE. Filigenio, io vengo a ragionar di cose assai differenti dalle passate, alle quali mai non pensaste: ora non è tempo di amori, ma di compimenti di onore: e ben sapete che dove va l'onore, poco si prezza la robba e la vita insieme.
Ma alfin voi sète il padrone, vo' piú per voi che per lui. FILIGENIO. Cosí mi par di ragione. FORCA. Quanto avete detto, tutto è vero: che sta innamorato di una cortegiana, detta Melitea, che sta in poter di un ruffiano che l'ha venduta ad un dottore per cinquecento ducati; e però ne arrabbia di dolore. FILIGENIO. Dove pensa avergli? FORCA. Rubbargli a voi come meglio potrá.
Sempre mi son accorto, ben mio, che tu mi amavi: è del tuo sommo giudicio sprezzar i giovani e amar uomini di consiglio e di riputazione. Ma perché non entro, non volo in casa mia, in camera, in letto? Entra, vita mia: questa è tua casa. FILIGENIO. La ragion n'insegna, l'esperienza ne dimostra, l'autoritá ne conferma che camina piú tardi un bugiardo che un zoppo.
DOTTORE. Che ti togli il tuo schiavo e mi torni i miei cento scudi. FILIGENIO. Che so io se lo schiavo che m'hai tolto di casa sia quel che mi rimeni? DOTTORE. Che so io che Melitea che fu portata in casa vostra non sia stata scambiata e posto costui in suo luogo?
DOTTORE. Che re di Borno, che decapitare? io non so se tu stai ne' tuoi sensi. Io pensava riscattar la mia innamorata Melitea; poi, avendola condotta a casa e lavatagli la faccia, ho ritrovato un maschio e altro di quel che pensava: eccolo qui. FILIGENIO. Chi è dunque? DOTTORE. Tanto ne so io quanto tu. FILIGENIO. O Dio, che girandole son queste? che vuoi tu dunque da me?
ALESSANDRO. Se non togliete i danari per arra, non vo' che mi favoriate nel negozio. FILIGENIO. Per non trattenermi vanamente in cerimonie, ché ho fretta di servirvi, li torrò, e or m'invio verso la sua casa. ALESSANDRO. Ed io per non dargli occasione che mi veggia con voi, mi partirò e verrò da qui ad un poco per saper quello che abbiate trattato.
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