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Aggiornato: 22 maggio 2025


Federico la guardò attentamente, alzò un poco le spalle, indi: Ebbene allora, spiegatevi, disse. Quel mezzo decisivo, a cui Camilla aveva pensato poco prima ricorrere, lo adottò all'istante, audacemente, senz'altre esitazioni. Vi ubbidirò, rispose, ma temo abbiate poi a dolervi. In verit

FILIGENIO. voi sapete quello che voglio rispondere. Non meritava questo l'amor che vi ho portato; e v'ho stimato gen- tiluomo, vi diedi cagion mai di dolervi di me, ma servirvi di quanto ho potuto. ALESSANDRO. Confesso aver ricevuto da voi molti favori, e confesso parimente non averli riservíti non per mancamento d'animo, ma d'occasione.

L'instabilitá è ogetto del vostro cuore, la leggerezza è nata nel mondo dalla vostra condizione.... PROTODIDASCALO. Oh che tu cernessi con gli occhi miei queste donne petulche Pasife, queste trisulche vipere! GIULIO. Lampridio caro, non avete ragione biasmar tutte per una che vi dia cagion di dolervi: ci sono delle cortesi e delle gentili . Ben si conosce che vi sopravince la còlera.

Quando vi ho veduto ieri l'altro per la prima volta, ho indovinato che il vostro cuore era buono, e che se aveste potuto fallire per debolezza o per fine di bene, non avreste indugiato a dolervi delle conseguenze dei vostri errori, e a tentare di ripararvi. In seguito alla visita del vostro amico, il conte di Sagrezwitcth è stato qui due ore or sono. Era dunque naturale che io vi aspettassi.

ESSANDRO. Che isconsigliato consiglio fu quello che tu mi desti! PANURGO. Chi avesse potuto pensare che avessero voluto venir cosí presto? ESSANDRO. Aiutami, ch'io moro! PANURGO. A che voleti che vi aiuti, a dolervi? ESSANDRO. Oimè! PANURGO. Oimè! MORFEO. Oimè! ESSANDRO. Oimè, che mi moro di dolore! PANURGO. Oimè, che mi moro di dolore! MORFEO. Oimè, che mi moro di fame!

«Avete torto a dolervi di me. Ciò ch'io sono, è opera vostra. Se il passato non mi costringesse ad arrossire, sarei certamente diversa, e potrei forse pensare senza rimorso ai lontani. Errammo; ma gli errori non debbono essere eterni. Così potessi io distruggerli, dimenticandoli; che di nulla nella mia vita avrei a pentirmi più oltre.

Non avete dunque voi giusta cagione da dolervi da riprendere i chierici e prelati de la madre Chiesa; a li quali, benché di scellerata e cattiva vita siano alquanti e avvenga che facciano le sconcie cose, nondimeno dovete voi fargli ogni onore ed ogni riverenza come a vostri maggiori e come a quelli li quali sono da Dio ordinati e mandati a nostra utilitá, abbiando riguardo al divinissimo precetto di Cristo che ne comanda e dice: «Facete voi quelle cose le quali essi vi dicono e predicano che fare dobbiate; ma le malvagie opere loro, le quali essi sovente fanno, non vogliate voi fare».

Dio vel perdoni! ché, chiarito della veritá, or con giusta cagione avresti cagione di uccidermi di bastonate, disgraziar vostro figlio e dolervi di Alessandro senza scusa. FILIGENIO. Non m'hai tu chiesto cento scudi per dargli al dottore, con darmi ad intendere che voleva rifiutar la puttana? FORCA. Voi li avete dati a me, io al dottore.

ESSANDRO. Mi burli? hai torto straziarmi cosí. PANURGO. Voi volete che v'aiuti a dolervi, io vi aiuto: questa è cosa di poca fatica. ESSANDRO. Facciamo collegio tra noi della mia vita, e consigliamoci l'un l'altro se dobbiamo fuggircene.

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