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Aggiornato: 28 luglio 2025
Allora quasi fosse soffocata dalle vesti, se le strappò dal petto, e prorompendo in un pianto secco... in un singulto, in uno schianto senza lacrime, cadde prostrata in ginocchio mormorando: Dio! Dio mio! fatemi morire!... fatemi morire!... E così rimase tutta la notte gemendo e singhiozzando rannicchiata, colla febbre, in un cantuccio della cabina.
E quale era mai questo segreto? e perchè un segreto con me? d'onde mai era venuta la forza che aveva separato l'inseparabile, disarmonizzato l'armonia perfetta, allontanato i nostri cuori che avevano per tanto tempo confuso i loro battiti e diviso tutta la loro potenza d'amore? Ebbi la febbre anch'io la febbre del dubbio; e mi trassi al capezzale di Clelia coll'anima lacerata.
La duchessa, donna accorta, aveva messo in guardia don Pio contro la febbre di acquisti e di costruzioni che lo aveva invaso, ma il principe era ormai su quella via sulla quale non si ragiona più, dove gli ostacoli non sono visibili per l'occhio che è fisso sull'avvenire, ed è abbagliato dal guadagno che la speranza gli promette.
Distesa sotto la coperta, col volto mezzo nascosto, Tina aveva chiuso gli occhi. La febbre, cresciuta nello sforzo del viaggio, le faceva battere le tempia e girare il letto colla sensazione che tratto tratto si capovolgesse, e allora per tentare di dormire sprofondò tutta la faccia nel cuscino, cercando di rimanere immobile. L'ore passavano.
Operai! Guardatevi dall'obbedire a questa spaventevole febbre di sangue! Noi non combatteremo contro i nostri fratelli operai, sindacati come noi al di l
Il piccino ascoltava, con gli occhi lucenti di febbre, senza mostrare di decidersi. Guarda, gli dissi mostrandogli un soldo in punta di dita se sarai buono io ti darò questo soldo.
E diventava più feroce nella brama: e con una strana fosforescenza negli occhi, e quel color di febbre che non lo lasciava nè notte, nè giorno, ripeteva in sè stesso cocciutamente ch'egli lo voleva quel tesoro, sì, lo voleva!... anche se per impadronirsene fosse stato necessario di passare sui cadaveri di suo padre e di sua madre. E come.... e come... Ed era la sua tortura.
⁴⁰⁴ Iulian., 540, 16 sg. Vediamo quest’altro sfogo di entusiasmo, nel ricevere una lettera del filosofo «..... io sono con te anche se sei assente e ti veggo coll’anima come se tu fossi presente, e nulla può rendermi satollo di te. Tu non cessi dal beneficare i presenti, e, gli assenti, a cui scrivi, li rallegri e li salvi insieme. Infatti, quando testè mi si annunciò esser giunto un amico apportatore di tue lettere, io era, da tre giorni, malato di stomaco, e mi doleva tutto il corpo, così da non poter liberarmi della febbre. Ma, come dissi, appena mi si annunciò che, fuori della porta, v’era chi recava la tua lettera, balzando in piedi, come uno che non fosse più padrone di sè stesso, uscii prima che giungesse. E appena io ebbi nelle mani la lettera, lo giuro per gli dei e per quello stesso affetto che a te mi lega, sull’istante fuggirono tutti i miei dolori, e la febbre, quasi atterrita dall’invitta presenza del salvatore, tosto scomparve. Quando poi, aperta la lettera, la lessi, imagina lo stato dell’anima mia e la pienezza del mio piacere! Io ringraziava e baciava quel carissimo spirito, come tu lo chiami, quel veramente amorevole ministro delle tue virtù, pel cui mezzo io aveva ricevuto i tuoi scritti. Simile ad augello, spinto dal soffio di un venticello propizio, egli mi aveva portato una lettera, la quale non solo mi procurava il piacere di avere le tue notizie, ma anche mi sollevava dai miei mali. Potrei, forse, dire tutto ciò che io provai, leggendo quella lettera? Troverei parole sufficienti ad esprimere il mio amore? Quante volte dal mezzo ritornai al principio? Quante volte temetti di dimenticare ciò che vi aveva appreso? Quante volte, come nel giro di una strofa, io univa la conclusione al principio, ripetendo, come in un canto, alla fine del ritmo, la melodia del principio! Quante volte portava la lettera alle labbra, come una madre che bacia il figlio! Quante volte le fui sopra con la bocca, come se abbracciassi la più cara delle amanti! Quante volte, baciandola, ho parlato e guardato alla soprascritta che portava, come un profondo suggello, la traccia della tua mano, quasi per trovare nella forma delle lettere l’impronta delle dita della tua santa destra!... E, se mai Giove mi concedesse di ritornare al patrio suolo, e io potessi venire al tuo sacro focolare, tu non dovrai risparmiarmi, ma mi legherai, come un fuggitivo, ai tuoi banchi amati, trattandomi come un disertore delle Muse, e correggendomi coi castighi. Ed io non subirò di mala voglia la pena, ma con animo grato, come la correzione provvidenziale e salvatrice di un buon padre. Che se tu volessi affidarti al giudizio che io farei di me stesso, e mi concedessi di agire come voglio, o uomo insigne, sarebbe per me una grande dolcezza l’attaccarmi alla tua tunica, e così non ti lascerei mai, per nessuna ragione, ma sarei sempre con te e verrei teco dovunque, come quegli uomini doppi che sono descritti nelle favole. E le favole, probabilmente, in quei racconti, pare quasi che scherzino, ma, in realt
Di villa egli è, ma il capo non gli frulla, ne sa quanto un Macope ad una cura, perché l'arte sapea di non far nulla e di lasciar l'imbroglio alla natura. Tocca il polso, l'orina vuol vedere, e poi dice: Ha la febbre il cavaliere. Diman verrò, vederem, penseremo; non mangi, e beva generosamente. Marfisa al suo partir diceva: Fremo; costui è un asin risolutamente.
Come va, Faustino mio? gli domandò inchinandosi sopra di lui, e posandogli una mano sulla fronte che bolliva di febbre. Mi sento un poco debole, ma del resto non c'è male, rispose l'infermo con languida voce. Che ti pare del mio aspetto?
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