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Aggiornato: 11 giugno 2025


ERASTO. Dovevi star imbriaco, però ti pareva di veder questo. DULONE. Ben sta: in pago del ruffianesimo che v'ha usato, v'ha dato un bel paio di corna. ERASTO. Dovevi star in estasi. DULONE. È possibil, padrone, ch'egli cosí volentieri vi fa credere il falso, ed io non basta a farvi vedere il vero? ERASTO. Entra e serra l'uscio. Tic, toc. ERASTO. Chi è ?

Andò molto volentieri: e dice che Amasia restò molto meravigliata, e che non solo non era vostra sposa ma che col pensiero ci era caduta mai, e che ha ben amicizia con Cintio ma che di voi non mosse parola mai; all'ultimo, che l'avevate presa in cambio: e le tornò la collana. Eccola. Avete inteso? ERASTO. Cosí fusse nato sordo! Ma non lo credo. DULONE. Perché non lo credete?

PEDOFILO. Ascolta quel gentiluomo che dice. ERASTO. Amasia, mia carissima sposa, or è gionto quel tempo cosí desiato da voi, cioè di tôrci questa maschera dal volto e non aver a viver piú di nascosto. Ho raccontato a vostro padre tutto quello ch'è passato tra noi; non ci manca altro, solo che l'accertiate di bocca vostra.

CAPITANO. Io son stato or ora ragionando con lei e col padre nella sua finestra. ERASTO. Da qual finestra? CAPITANO. Da quella che risponde sul vicolo. E ha riso e scherzato meco. DULONE. Ascoltate, padrone, che ha pur detto il vero senza che glielo dimandaste. ERASTO. A te fece tanti favori dianzi suo padre? CAPITANO. Il padre tiene a molto favore darlami per isposa ad ogni mia richiesta.

ERASTO. Tu non mi ci corrai piú con le tue paroline; e la spada scoprirá la veritá, e giá mi vien la stizza passartela per lo petto. CINTIA. Piú tosto per lo ventre, acciò non resti al mondo seme di tanta ingratitudine! Ma poiché la volete meco, la torrò con voi assai volentieri. Ponete mano alla spada. ERASTO: Ancor ardisci, puttaccio, di provocarmi?

ERASTO. Come tua? CAPITANO. A me sta ammazzar tutti gli uomini che ci stanno e farla mia. Ma perché non vuoi tu che ci passi? ERASTO. Accioché non miri in quelle finestre. CAPITANO. In quelle finestre sta Amasia mia moglie. ERASTO. Come tua moglie? CAPITANO. È mia e vo' che sia mia. ERASTO. Non è tua sará tua, il padre la vuol dar ad un baionaccio tuo pari.

E che? voleva io consumar la mia vita in piangere e suspirare? ERASTO. Non si deve mai commettere inganno. CINTIA. E se pur si dovesse commettere, solo per amor si dovrebbe. ERASTO. Chi veramente ama non fa cosí. CINTIA. Anzi, chi veramente ama fa cosí. ERASTO. Chi ama procura l'amor della sua amata, non le procura biasmo o disonore. CINTIA. Era mia moglie, non l'ho machinato contra l'onore.

PEDOFILO. O di casa, fate che cali qua giú Amasia per cosa che importi assai. Che pregne? che sposi? che traghetti? imparate di grazia ad esser piú continenti nel parlare. ERASTO. Vi prego che voi tacciate: lasciate ragionar a me primo, ché forse vergognandosi della vostra presenza non volesse accertarlo. PEDOFILO. Farò come volete. Eccola che giá viene. AMASIO. Che comandate, mio padre?

O dolcissima vita dell'anima mia, mira come sta in estasi rapita da se stessa, e se ben mesta e afflitta, pur spira di un generoso ardire! CINTIA. Io ho gran dubio che, quando disavedutamente mi sfibiai il giubbone, Erasto se sia accorto ch'io fussi femina, e però ritirò la spada e non m'uccise; ma se la sua spada mi perdonò la vita, non me la perdonerá il veleno.

Apparai lettere, e le mani nate alla conocchia e all'aco rivolsi a maneggiar cavalli e armi e tutte quelle arti che rendono illustre un cavaliero, non lasciandomi superar da Erasto, anzi lasciandomelo dietro di gran lunga.

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