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Aggiornato: 12 luglio 2025


MANGONE. Vi dolete dunque che ve l'abbi compro miglior di quello che me l'abbiate chiesto? FILIGENIO. Io non mi doglio di quel meglio, ma che tu con questo meglio mi vogli impiccar per la gola e vendermelo soverchio. MANGONE. Non l'ho detto per tale effetto, ma perché mi ricordo e so servir gli amici a' quali porto affezione. FILIGENIO. Te ne ringrazio: fallo calar qui giú, ché lo veggia.

LIMERNO. Tu sei pazzo persuadendoti una malefica non sapere quello che a tutta la corte giá divolgato leggesi. TRIPERUNO. Lasso! ch'io me ne doglio. LIMERNO. Tu vi dovevi piú per tempo considerare e prenderne da me consiglio. «Consilium post factum, imber post tempora frugum». TRIPERUNO. Non l'ho fatto, in mia malora!

44 Non che di lei, ma restar privo voglio di ciò c'ho al mondo, e de la vita appresso, prima che s'oda mai ch'abbia cordoglio per mia cagion tal cavalliero oppresso. De la tua difidenza ben mi doglio; che tu che puoi, non men che di te stesso, di me dispor, più tosto abbi voluto morir di duol, che da me avere aiuto.

PANURGO. Sono in vostro potere, fate di me quel che vi piace; e se questo vi par poco, giungetevi altrotanto, ch'io soffrirò ogni supplicio. Ma di grazia, ditemi, di che vi dolete di me? GERASTO. Come! di che mi doglio di te?

MOPSO. Lasso; quest'è ben dura dipartita; dura, crudel, amara dipartita, via più ch'assenzio amara e più che morte. Ed è ragion, ch'estremamente amaro mi sia 'l partir da lei che m'è più cara che la zampogna mia, più che l'armento: più che la vita cara e più che l'alma. Ahi, ahi! protervo amore di te mi doglio, protervo, iniquo e dispietato amore.

ORGIO. Mi doglio ritrovarmi qui nella strada publica, che non vorrei far i vicini consapevoli de fatti miei, ché per risposta ti vorrei far cader questi pochi denti che ti sono restati in bocca, e trarti quei pochi capelli che ti ha lasciati il mal francese; ma faremo i nostri conti in casa, quando manco ci pensarai. BALIA. In casa vostra non entrerò piú mai, poiché in tal stima ci son tenuta.

D'ogni creatura la quale ha in ragione mi doglio e mi lamento, ma singularmente degli unti miei, e' quali debbono essere umili perché ogniuno debba avere la virtú de l'umilitá, la quale nutrica la caritá, e perché sonno facti ministri de l'umile e immaculato Agnello, unigenito mio Figliuolo.

PANIMBOLO. Cosí son sicuro io che don Ignazio sta innamorato d'altra come son vivo. Ma come ch'egli è d'ingegno vivace e pronto, imaginatosi la fraude, rispose in cotal modo. DON FLAMINIO. Mi doglio del tuo mal preso consiglio.

36 Io che sforzar così mi veggio, voglio, per uscirgli di man, perder la vita; ma se pria non mi vendico, mi doglio più che di quanta ingiuria abbia patita. Fo pensier molti; e veggio al mio cordoglio che solo il simular può dare aita: fingo ch'io brami, non che non mi piaccia, che mi perdoni e sua nuora mi faccia.

PANURGO. Scherzava cosí con voi, intendeva per le podagre due figlie che aveva da maritare. NARTICOFORO. Oh lepidum caput! PANURGO. Ma sia come si vogli, son al vostro comando. NARTICOFORO. Ecco son venuto a tòrvi questa podagra e addossarla al mio figliuolo. PANURGO. Di questo mi doglio ben, che v'abbiate tolto invano questo travaglio.

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