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Aggiornato: 18 giugno 2025
Serviva anche lui alla Pometta, ma allora non era bersagliere. Abbiamo cominciato a parlarci, dalla finestra della cucina che guardava nell'orto, perchè lui era ortolano. E che bel giovine! Se vedesse signor padrone, alto come lei, e più diritto di lei, perchè quello è giovine, e lei no, pover'uomo! Però noi si sapeva che doveva andare soldato e ci promettemmo di aspettarci finchè lui avesse finito il suo tempo. Sono quattro anni che gira per la Cicilia, ed io intanto servo, per mettere un po' di quattrini da parte; poi, dopo tre anni ancora, torner
Quivi si piangon li spietati danni; quivi è Alessandro, e Dïonisio fero che fé Cicilia aver dolorosi anni. E quella fronte c’ha ’l pel così nero, è Azzolino; e quell’ altro ch’è biondo, è Opizzo da Esti, il qual per vero fu spento dal figliastro sù nel mondo». Allor mi volsi al poeta, e quei disse: «Questi ti sia or primo, e io secondo».
E questo prende l'autore da ciò che Virgilio scrive nel sesto dell'Eneida, nel qual dice che, essendo Enea, poi che di Cicilia si partí, pervenuto nel seno di Baia, e quivi in assai tranquillo mare, dando per avventura riposo a' suoi compagni, e disideroso di sapere quello che di questa sua peregrinazione gli dovesse avvenire; essendo andato al lago d'Averno, dove avea udito essere l'oraculo della sibilla cumana ed essa altresí, la pregò che in inferno il menasse al padre; e, dietro alla sua guida, vivo e con l'arme discese: e, per quello passando, pervenne ne' campi Elisi, lá dove quegli, che in istato di beatitudine, erano secondo l'antico errore.
E quei che ben cognobbe le meschine Della reina dello eterno pianto Mi disse: guarda le feroci Erine ¶ Secondo quello che per Ovidio e per gli altri poeti favoleggiando si tratta, la reina dello eterno pianto, la luna s'intende, riducendola nel nome di colei che Dite prese nell'isola di Cicilia cogliendo suoi fiori, la quale Proserpina si chiama.
FR. Voglio che tu sappi, che egli usava di procurare ogni sorte di commerzio, non solo quello del letto, quasi reti per pigliare gli uomini. E per cominciare dalla guerra Troiana, che pensi tu che volesse significare quel dragone domestico lungo sette gomiti, che beveva con Aiace Locrense, che gli andava innanzi per via, e stavagli attorno come un cane? che credi denotasseno le penne di Dedalo? che cosa le ali del cavallo pegaseo? e le altre cose mostruose annoverate dalle favole? Per che cagione va Pittagora e torna sì tosto d'Italia nell'isola di Cicilia? perchè fece Empedocle il viaggio aereo a guisa d'uccello? per che conto usò Abari il dardo d'Apolline di velocit
«Maravigliamoci molto come fosti ardito di venire in sul reame di Cicilia giudicato nostro per autorit
Il pollaiolo le regalava dei mazzi di penne di cappone, che lei metteva da parte giubilando per «mandarle in Cicilia alla prima occasione». Provava ad inalberarle da un lato del suo capo calvo, e, diceva: Come staranno bene sul cappello del bersagliere! Per se stessa non comperava mai nulla.
Poi sorridendo disse: «Io son Manfredi, nepote di Costanza imperadrice; ond’ io ti priego che, quando tu riedi, vadi a mia bella figlia, genitrice de l’onor di Cicilia e d’Aragona, e dichi ’l vero a lei, s’altro si dice. Poscia ch’io ebbi rotta la persona di due punte mortali, io mi rendei, piangendo, a quei che volontier perdona.
Questo libro della Comedia, secondo che ragionano alcuni, intitolò egli a tre solennissimi italiani: la prima parte di quello, cioè lo 'Nferno, ad Uguiccion della Faggiuola, il quale allora in Toscana era signor di Pisa; la seconda, cioè il Purgatorio, al marchese Moruello Malespina; la terza, cioè il Paradiso, a Federico terzo, re di Cicilia.
Questo libro della Comedia, secondo il ragionare d'alcuno, intitolò egli a tre solennissimi uomini italiani, secondo la sua triplice divisione, a ciascuno la sua, in questa guisa: la prima parte, cioè lo 'Nferno, intitolò a Uguiccione della Faggiuola, il quale allora in Toscana signore di Pisa era mirabilmente glorioso; la seconda parte, cioè il Purgatoro, intitolò al marchese Moruello Malespina; la terza parte, cioè il Paradiso, a Federigo terzo re di Cicilia.
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