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Aggiornato: 10 maggio 2025
La loro passeggiata era per me uno studio. Notavo il loro modo di andare in su e in giù e chiamavo Romussi e don Davide Albertario a constatare che il loro passo rivelava il galeotto. Dimostravo loro come un Jean Valjean avrebbe potuto essere scoperto dal segugio di polizia anche vent'anni dopo, vestito con eleganza, in una sala immensa affollata di signori che la percorressero conversando.
Uno dei due barboni, il più ilare, il più bianco, lo chiamavo Ani-kaine (buon augurio). Scing-tscie (perfetto) era il nome dell'altro. Chiamava il can bassetto Buddha, perché realmente quando stava in riposo assomigliava all'idolo del nume per la pingue serenit
Per tutti gli altri, l'immenso mio dolore doveva apparire, più che esagerato o artificiale, stranissimo, quasi confinante con la pazzia. Era tale davvero; lo riconosco ora, dopo molti anni. Allora però niente mi sembrava tanto ragionevole quanto quel che io chiamavo il miracolo.
Chiamavo: Cara! Cara! Non rispondeva. La stretta delle sue mani al mio collo si veniva rallentando, ma non era tuttavia possibile disgiungerle. Allora mi alzai per coricarla sul sedile; la testa le cadde lungo il mio braccio, le mani rimasero congiunte. Gridai singhiozzando inutilmente nel fragore del treno, chiamai con voce disperata Iddio che solo poteva udirmi.
Vi ero tornato solo o con la mamma parecchie volte negli ultimi anni, e la chiamavo anche io Villa Amara perchè non vi trovavo nessun ricordo che potesse rallegrarmi, perchè neppure allora ne ricevevo nuove impressioni che riuscissero a scancellare le grigie impressioni infantili.
La mamma e io lo sollevammo a stento, lo adagiammo sul divano credendo ancora che si trattasse di uno svenimento, di un malessere passeggero. Infatti il corpo aveva fremiti, sussulti che illudevano. Babbo! Babbo! chiamavo quasi per destarlo, reggendogli il capo, intanto che la mamma dava gli ordini per un dottore.
Fanciulli tutti e due, abbiamo avuto comuni le prime gioie e i primi affetti: ricordate che io chiamavo mamma, la vostra mamma?... Vi ho voluto bene sempre come una sorella, e se oggi comincio a sentire per voi un altro affetto, forse più forte, ma ugualmente sacro, per l'anima mia ve lo giuro, non c'è nulla ch'io vi debba nascondere, nulla di cui mi abbia a vergognare, nulla che possa meritarmi la vostra freddezza, e tanto meno poi la vostra collera.
Assistere al risveglio dell'organismo di Fausta più non chiamavo Rosa col suo nome di battesimo e godevo ch'ella se ne compiacesse assistere alle continue manifestazioni del suo spirito in formazione, che talvolta erano deliziose sorprese per un osservatore attento come me, bastava a riempire le mie giornate, quando ero stanco di leggere o di occuparmi di affari, da che il signor Bardi si ostinava a volermi informare dei misteri diceva così dell'amministrazione dei miei beni, pel caso ch'egli dovesse rinunziare al suo incarico o venisse a mancarmi.
Era la prima volta che la chiamavo per nome, e mi parve di rivelarle così l'immenso amor mio, come non avevo saputo mai fare fino a quel giorno. Sorrise nuovamente; ma tosto che feci atto di voler baciarle le mani, si rizzò in piedi, severa. Mi par di vederla qui, davanti a me, con le mani vietanti, col gesto di congedamento.......
Conosco quasi tutti i reporters al nostro processo. Il più vecchio è probabilmente Leopoldo Bignami, qui per la Stampa di Torino. Quando scriveva per il Pungolo di Leone Fortis era fegatoso e io lo chiamavo un latrinista della penna. Adesso mi pare si sia modificato. Non voglio offendere nessuno. Ma credo che il più illustre tra loro sia l'A. G. Bianchi, del Corriere della Sera. Da semplice reporter di fatti cittadini è diventato uno dei più distinti scrittori di criminologia. Tra i molti suoi libri, conosco il Mondo criminale italiano, scritto con Ferrero e Sighele, e il Romanzo di un delinquente nato. Pochi possono aspirare al suo avvenire. La bont
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