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Ma perchè mi tornano alla memoria queste dolci ricordanze della mia giovinezza? Perchè con tanta insistenza, vi risaluto ancora, o anime, ch'io chiamai gentili? Su, a quella chiesetta scrivemmo i nostri nomi. Ci saranno ancora? Chi li avr

Pensai che, mentre io era intento a vigilare i movimenti dei malandrini, il Carminati si fosse allontanato allo stesso scopo... Chiamai più forte... non ebbi daccapo nessuna risposta... Senza più pensare ai malandrini, se si fossero tutti dati alla fuga, o se qualcuno ne rimanesse, io apro la lanterna e guardo tutt'all'intorno... In quell'istante sento verso l'acqua un gemito acuto, un grido di: aiuto, aiuto!... Il vento impetuoso mi spense la lanterna!

Le parlai e non mi rispose; solo mi accennò colla mano che me ne andassi pure; ma io mi avvidi che soffriva, e fu un miracolo di nostro Signore che non ubbidissi; poichè subito dopo mandò un gemito e mormorò: mi sento morire. E allora io chiamai gente, perchè ha da sapere che io non posso veder patire una mosca, e mi coglie subito il mio male.... un brutto male....

Si faceva tardi; mettemmo i cavalli al galoppo. A qualche miglia da Sulzena passammo innanzi ai carabinieri che menavano il Beppe. Lo chiamai per nome. Non intese. Camminava colle braccia ammanettate in croce sul petto, colla testa china, col fare stralunato di un uomo che ha l'animo fuori di questo mondo. Il dottore era tanto impaziente di raccontarci la sua storia quanto noi di ascoltarla.

Pochi istanti prima di approdare, chiamai a me il mio primo ministro, che pure faceva parte della Commissione Potikorese, e volli essere informato sulle condizioni finanziarie, sull'esercito, sull'indole del mio popolo e sulle costituzioni del mio Stato.

Io di Normandia ti chiamai in questo paese, io sempre ti tenni il più prode dei miei guerrieri, il più saggio nei miei consigli; e le missioni più perigliose affidai sempre a te. Ora muoio qui, lontano dalla nostra patria, in questa patria novella che mi ha conquistata la spada.

Benigne stelle, cui chiamai sovente in testimonio di mia vita acerba, ma sempre in vano, onde crudeli ed empie vi dissi, non è alcun mortal mio sforzo che mi vaglia a formar degne parole in rendervi le grazie ch'io vi debbo. Cor lasso, che di lagrime e sospiri vivesti un tempo, ond'eri giá ridotto quasi a l'estremo, come puoi di tanta dolcezza esser capace?

Movete, o sante Dive, a i vostri onori, cinte le tempie d'odorati allori. Ma che novo furor m'ha 'l petto ingombro di voler col mio calamo palustre sonar di lor, ch'a i sempiterni Divi rotando tuttavia l'eterne spere, de le lor voci fan dolce concento? Mercè dive, mercè del novo ardire non vi chiamai nimico, e non mi vanto di cantar vosco a prova.

Misi la testa dentro: era buio. Chiamai il cuoco per nome: Gioanin! Il poveretto, afflitto dalla mala riuscita d'una frittura, e forse anche inquieto per la vicinanza dei due «selvaggi», non dormiva. A l'è chiel? Son io. Tardò qualche momento a rispondere e poi, voltandosi sul letto, esclamò sospirando: Ah! che pais!

Così chiamai l'amata in nona rima, sotto il grande balcon di tiburtino ov'han lo scudo i Guttad