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Debbo dire che Sulzena era ingrandita: notai qualche casa nuova, la capanna di Beppe era stata restaurata e vi notai la frasca e l'insegna turchina dell'osteria che quella sera memoranda del mio arrivo aveva cercato invano.

Le case di Sulzena apparivano biancheggianti al sole meridiano il campanile suonava l'Angelus del mattino, ma quel paesaggio mi sembrò meno lieto di quando l'aveva contemplato al raggio del tramonto.

L'omaccio l'aveva perseguitata altra volta e qui, quando stava con noi e a Sulzena dove si recava tutte le settimane. Egli aveva per lei una di quelle sue feroci concupiscenze che sapete per il caso della povera Gina. Il luogo era solitario. Quella bestiaccia si lanciò su lei, le attenagliò il braccio e le disse balbettando: Bella ragazza, lasciate ch'io vi faccia un bacio.

Fu in questa posizione che trovommi in casa sua il curato di Sulzena. Mi rivolsi al suono dei suoi passi, mi rizzai, e gli mossi incontro. Egli si fermò, mi stese ambe le mani, e, prima ch'io trovassi una parola, mi disse: Quanto vi sono grato di non aver proseguito il vostro viaggio. Oh! non l'avrei perdonata a Baccio, se vi avesse lasciato partire.

Si faceva tardi; mettemmo i cavalli al galoppo. A qualche miglia da Sulzena passammo innanzi ai carabinieri che menavano il Beppe. Lo chiamai per nome. Non intese. Camminava colle braccia ammanettate in croce sul petto, colla testa china, col fare stralunato di un uomo che ha l'animo fuori di questo mondo. Il dottore era tanto impaziente di raccontarci la sua storia quanto noi di ascoltarla.

Alcuni giorni dopo credetti, per una fortuita circostanza, di essere sulla via di risolverla. La bella stagione è breve a Sulzena: sono poco più di tre mesi, dal primo fieno, in giugno, alla bacchiatura delle noci in settembre. Questo è l'ultimo raccolto e precede solo di poco il ritorno delle mandre dall'alpe.

Un rumore misurato di passi mi riscosse dalla estatica contemplazione. Sbucavano di dietro il muro della chiesa quattro carabinieri condotti da un brigadiere, un'atletica figura di savoiardo. Un montanaro di Sulzena li accompagnava. Il signor Bazzetta aveva colta con premura l'occasione di esercitare le sue funzioni di assessore. Egli aveva mandato avviso alla stazione di Mirasco.

Debbo alla luna, che in quel momento era venuta a far capolino, ed a un mio talento ginnastico se non mi ruppi il collo, io che sette anni non li avevo ancora compiti tre volte. Non è necessario descrivervi il villaggio di Sulzena.

Quando, sopraggiunto l'autunno tornai a Sulzena, entrai per la prima volta in casa del signor Angelo; egli mi trattò sempre come un cane malvisto. Le mie vacanze sono una tal tortura che io anelo sempre al collegio come ad una liberazione.

Allo svolto dove la strada passa ancora sotto Sulzena prima di seguir la vallata mi volsi e diedi un'ultima volta uno sguardo di tenerezza al presbiterio che stendeva modestamente al sole cadente i suoi muri bianchi e le ultime foglie rosse del suo pergolato. Dal muricciuolo dell'orto la Mansueta mi salutava scuotendo il suo grembiale con ambe le mani.