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Aggiornato: 17 luglio 2025
Ero un poco ansante, accaldato, agitato da una leggera ebrezza. Domandai: Dov'è Giuliana? Su, nelle sue stanze, ella rispose, ridendo. Io feci di corsa le scale, attraversai il corridoio, entrai franco nell'appartamento, chiamai: Giuliana, Giuliana! Dove sei? Maria e Natalia mi uscirono in contro con grandi feste, rallegrate alla vista dei fiori, irrequiete, folli.
Non si udiva alcuno strepito che annunziasse la carrozza. Ma è meglio che tu vada a vedere, Tullio. Uscii dalla stanza: scesi le scale. Vacillavo un poco; avevo una nebbia su gli occhi; mi sembrava che un vapore mi s'involasse dal cervello. Per la piccola porta laterale del muro di cinta, chiamai Calisto che aveva la sua abitazione l
Costoro dicono, per inganno di loro medesimi, ingannati da la propria volontá, la quale ti chiamai «volontá spirituale»: Io vorrei questa consolazione e non queste bactaglie né molestie del dimonio; e giá non el dico per me, ma per piú piacere a Dio e averlo piú per grazia ne l'anima mia, perché meglio mel pare avere e servirlo in questo modo che in quello.
E chiamai io stesso mia madre. Sentivo che non avrei saputo trovare le parole opportune. Nel cuore non mi vibrava niente. Mi sembrava anche giusto che quel testimone del mio disinganno sparisse; e gi
Ogni più piccolo particolare, disse Bruno. Tu avevi un cappello coi papaveri. Io ti dissi che eri bella, e ti baciai sulle guance. Tu mi stringesti al petto. Ti chiamai Nicla; e tu mi dicesti di chiamarti sempre così.... Sono passati dodici anni, amore mio! mormorò Nicla.
Un bambino solo, il più povero, non mi offrì nulla: ma dal suo contegno imbarazzato e dal suo visetto malinconico argomentai quanto dovesse soffrire. Lo chiamai e quando l'ebbi vicino me lo strinsi ripetutamente fra le braccia, baciandolo. Incoraggiato da quelle carezze, il poverino mi pose tra le mani un involtino e fuggì vergognoso.
Chiamavo: Cara! Cara! Non rispondeva. La stretta delle sue mani al mio collo si veniva rallentando, ma non era tuttavia possibile disgiungerle. Allora mi alzai per coricarla sul sedile; la testa le cadde lungo il mio braccio, le mani rimasero congiunte. Gridai singhiozzando inutilmente nel fragore del treno, chiamai con voce disperata Iddio che solo poteva udirmi.
Passando nell'orto vidi la Teresa, curva a terra che raccoglieva delle patate. La chiamai e si rizzò per salutarmi. Aveva gli occhi rossi e le lagrime le rigavano il viso. Se le asciugò in fretta col rovescio della mano, e si sforzò di sorridere nel dirmi: Buon giorno, signora.
In punta di piedi mi spinsi fino al memore cancelletto che tante volte aveva cigolato al mio passaggio, e chiamai: Susanna! E stetti ad aspettare, col collo teso, la faccia supina, nel silenzio, in preda a un affanno mortale. Susanna! replicai, spaventato dalla mia stessa voce che tremava forte. Ed aspettai, senza respiro, senza un'oncia di sangue nelle vene.
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