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Aggiornato: 17 luglio 2025
Farò buona guardia, risposi. Wood escì confortato. Allora io chiamai: Gin! e tosto il bull-dog si slanciò contro le mie ginocchia. A noi due, gli dissi, e Gin dimenava la coda così gaiamente come quando leggeva ne' miei occhi qualche lieto pensiero.
Se chiamai capriccio, disse, la vostra idea di recarvi in traccia di Gabriella, ho le mie ragioni per questo. Voi parlate sempre come una sibilla, rispose l'ufficiale con leggiera ironia. Gi
Corsi subito a sostenerla, gridai.... chiamai; per fortuna, c'era gente nella sala del bigliardo.... Venne subito anche il Duca.... scesero le cameriere; la portammo su.... Si riebbe a poco a poco, e l'ho lasciata or ora, che stava meglio. Anderò su a vedere disse la vecchia dama. Se vi fossero novit
Dicendo «molte» non ti pongo numero, perché l'affecto de l'anima fondato in caritá, che dá vita a tucte le virtú, debba giognere in infinito. E none schifo però la parola, ma dixi ch'Io volevo poche parole, mostrandoti che ogni operazione actuale era finita, e però le chiamai «poche»; ma pure mi piacciono quando sonno poste per strumento di virtú e non per principale virtú.
Poscia che fummo al quarto di` venuti, Gaddo mi si gitto` disteso a' piedi, dicendo: "Padre mio, che' non mi aiuti?". Quivi mori`; e come tu mi vedi, vid'io cascar li tre ad uno ad uno tra 'l quinto di` e 'l sesto; ond'io mi diedi, gia` cieco, a brancolar sovra ciascuno, e due di` li chiamai, poi che fur morti. Poscia, piu` che 'l dolor, pote' 'l digiuno>>.
Ma l'uno e l'altro erano bagnati, fradici, e inoltre morti. Morti?» urlò Ramengo. Morti: sì, signore» continuò Maso. Io dissi: Bella pesca ho fatt'oggi! Li trassi a riva; chiamai gente, li levammo fuori, li portammo in casa, e qui mia moglie, che tiene della medichessa, si pose intorno a loro ostinata di farli rivivere.
«Dovete ricordarvi quella data e quell'insegna. «Stavo alla finestra della mia camera la sera del mio arrivo, quando vidi entrare nel cortile una carrozza da nolo, da cui scendeste voi, con una signora. «Avevo presso di me una cameriera dell'albergo che mi prestava qualche servizio da toletta. La chiamai alla finestra, ed additandovi le domandai: « Chi sono quei signori?
Gesù della Gleba io lo chiamai un giorno, sorridendo.
«Non potevo più illudermi: era un'indegna, e non sapevo vivere senza di lei. Misurando tutta la mia abiezione, presi un giorno il mio revolver e pensai di uccidermi. Scrissi un testamento, che esiste ancora, e fui per eseguire il mio disegno. Sul punto di morire, volli tentare un ultimo passo. Chiamai mia moglie in camera mia e chiusi l'uscio.
Addio, mi rispose con voce spenta. M'arrestai sull'uscio, e mi volsi a contemplarlo egli s'era gittato sopra un divano e soffocava i singhiozzi sopra i cuscini. Lo chiamai dolcemente: "Raimondo!" Levò il capo, e non fè atto per nascondermi le sue lagrime. Tu dunque non mi abbandoni? balbettò. Io sarò sempre teco; ma lui... Eugenio... Sì, Eugenio.
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