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Aggiornato: 5 giugno 2025


Il signor Luchino quella mattina abbandonò Milano, per passare un pajo di giorni a Belgiojoso, villa tanto opportuna per le caccie in quella stagione. Usciva con lui la signora Isabella, che della lontananza del bel Galeazzino sapeva e darsi pace e rifarsi. Cavalcava con essi di conserva l'arcivescovo Giovanni, che nell'attenta pettinatura della corona di capelli che circondavangli la rasa testa, e nell'esattezza delle pieghe e nella disposizione di una grande tonaca rossa foderata di zibellino, a maniche larghe, mostrava un desiderio più che scolaresco di far pompa di una bellezza che lo faceva primeggiare sovra tutti i prelati del mondo. Dietro a loro seguitava uno stuolo di amici, amici da Corte, e servi e cacciatori e palafrenieri. Il vulgo traeva ad ammirar que' bei cavalli, quelle stupende mude di segugi di Tartaria, quei falchi di Norvegia; vantava il lusso dell'arcivescovo, la furberia della signora Isabella, e la grande abilit

Tali licenze però ci furono acerbamente rimproverate da certo commissario regio, un principe di cui non ricordo il nome, delegato alla custodia delle reali caccie, e giunto in Caserta quando i regi liberatori cominciarono a gettar le ugne sulla preda.

Il re, con la Marchesa, come i cortigiani chiamavano la Pompadour, vi andavano spesso, preferendo i giardini di Lenôtre al Louvre; e in quello splendido soggiorno, ancora tutto pieno delle memorie del gran re e del gran secolo, le feste si succedevano, una più variata dell'altra: balli, ricevimenti, caccie, recite, e frammezzo a tutto questo, i facili intrighi, improntati della leggerezza del tempo, si legavano, rompevano e riannodavano incessantemente.

Sentivano i suoi lamenti nei boschi, il suo silenzio disperato nei prati, il suo pianto lento nelle rugiade. La terra piangeva, la terra soffriva. Il suo destino era come quello del lavoratore: i signori le calpestavano nelle guerre e nelle sue caccie le poche messi, le abbattevano le quercie per i loro castelli, le uccidevano i più miti animali per allevare i più infesti.

Alfredo, si assopì una breve ora, disteso sul fieno, senza svestirsi. « però cessa amor con varie forme «La sua pace turbar mentr'ella dorme. TASSO Canto VII ERMINIA. E noi diremo mentr'egli poco dorme. Nientemeno che il nostro artista, durante le sue caccie in pianura, incideva siccome l'Erminia del Tasso, il nome amato sulla corteccia dei pioppi.

Nondimeno perchè è manco pericolo l'andare per i monti, che tuffarsi nell'acqua, e perchè piaceva più conversare nelle caccie di Diana, che nell'onde degli Dei marini, si dettero più volentieri a' giuochi ed alle danze di Diana, come a cose più dilettevoli. Ne tirò poi delle altre a sotto spezie di Erodiadi, alle quali dava piacere nelle danze della selva Idumea.

D'altra parte noi abbiam dovuto toccare di questo banchetto, e perchè fu in quell'occasione che l'Elia Corvino parlò a chi doveva parlare, e per dare un'idea del modo con cui il nostro Manfredo era uso a passare in quell'anno la sua vita a Roma, Venendo a lui gl'inviti da tutte le parti mal suo grado ora costretto intervenire alle feste, alle mense, ai giuochi, alle villeggiature, alle caccie e a tutti codesti passatempi della vita.

Lo vedevo cinto di contrabbandieri trafugare ai confini della Toscana i rivoluzionari romagnoli, vestito di una piccola giacca col fucile sulle spalle: lo vedevo prete al letto dei malati, al banco degli sposi, agli altari delle chiese: lo ritrovavo cacciatore sui monti col gabbione sulle spalle, a sera innanzi la piccola casa curando gli uccelli nelle gabbie assistito dagli stessi monelli che lo aiutavano nel paretaio; lo seguivo nelle caccie alla lepre.

E d'onde dee tornar, di gloria cinto, Al freddo abbraccio Di lei che invano egli amerìa d'amore, Mentr'ella ha il cor dal dover solo avvinto. Ella tutto darebbe e lo splendore Delle sue caccie, E le sale dorate ov'ella deve Sotto un sorriso ascondere il dolore, E le vesti per oro antico gialle, E pur le candide Storiche perle della sua corona, E il feudo antico e monte e piano e valle,

Tartarin sognava caccie di orsi, di leoni, di elefanti, centellinando bicchierini di rhum in quel suo salotto parato di armi d'ogni sorta e di ogni tempo. E dire che, da buon provenzale, avrebbe dovuto fantasticare soltanto bei colpi ai berretti, quei bei colpi con cui i suoi amici si solevano compensare, nelle partite di caccia, della selvaggina che non trovavano!

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