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Si affrettava, pallidissimo, con la stola sul braccio, abbottonando, con le dita tremanti, la sottana al sommo del petto...

60 Oh Dio, che disse e fece, poi che sola si ritrovò nel suo fidato letto! percosse il seno, e si stracciò la stola, e fece all'aureo crin danno e dispetto; ripetendo sovente la parola ch'Ariodante avea in estremo detto: che la cagion del suo caso empio e tristo tutta venìa per aver troppo visto. 61 Il rumor scorse di costui per tutto, che per dolor s'avea dato la morte.

Allora dalle labbra di quel prete il cui volto non aveva mutato colore, espressione, udii cader, gelate, asciutte, plumbee, feroci, queste parole: Ho altro adesso da fare; il mio caro indiscreto che sei. Lasciami dunque andar la stola una volta: tu me la insudici colle tue lagrime. O che credi di risuscitarla con queste pazzie. Lasciami andare ti dico. Non ti basta la messa!

E tale in que' momenti era il baleno Della luce divina in me raggiante, Che il patir mi parèa di gioia pieno, E leve il ferro mi parea alle piante. Oh di Spielbergo semplice chiesuola, Ove non s'alzan preci altre giammai, Che del mortal che cingesivi la stola, E di viventi infra catene e guai, Ah, in te risplende pur Quei che consola! Quei, che del fiacco non respinge i lai!

Allora donna Placidia pose la stola sul petto della moribonda, e porse il libro delle preghiere a don Marco, il quale dolcemente le accennò di star zitta. La signora era entrata nell'agonia.

Quando fuor giunti, assai con l’occhio bieco mi rimiraron sanza far parola; poi si volsero in , e dicean seco: «Costui par vivo a l’atto de la gola; e s’e’ son morti, per qual privilegio vanno scoperti de la grave stola?». Poi disser me: «O Tosco, ch’al collegio de l’ipocriti tristi se’ venuto, dir chi tu se’ non avere in dispregio».

57 Mercurio al fabbro poi la rete invola; che Cloride pigliar con essa vuole, Cloride bella che per l'aria vola dietro all'Aurora, all'apparir del sole, e dal raccolto lembo de la stola gigli spargendo va, rose e viole. Mercurio tanto questa ninfa attese, che con la rete in aria un la prese.

Eccovi; fo come Iperide, l'oratore ateniese, allorquando, per guadagnare la causa della sua bella cliente, la messe in mostra nell'Areopago. Questa è l'acconciatura greca, coll'anadèma ed i capegli ricadenti a ricciolini sul fronte. A noi, con queste tunicacce, non andrebbe; ma, con una veste sontuosa, fa spicco. Non è egli vero? Eccovi; questa è la nostra stola, ma più aggraziata, colle maniche serrate al pugno da armille d'oro, stretta da due cinture all'imbusto e colla giunta dello strascico. Dite, non aggiunge maest

Quando fuor giunti, assai con l’occhio bieco mi rimiraron sanza far parola; poi si volsero in , e dicean seco: «Costui par vivo a l’atto de la gola; e s’e’ son morti, per qual privilegio vanno scoperti de la grave stola?». Poi disser me: «O Tosco, ch’al collegio de l’ipocriti tristi se’ venuto, dir chi tu se’ non avere in dispregio».

Guardate il grazioso meandro che corre a' piè della stola! E questi sandali traforati! Le armille alla noce del piede! Oh bella! Le metto subito anch'io. Ed io! Così che, mi pare inutile di andare attorno pei voti. Hai il «come tu chiedi» all'unanimit