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A Timoteo. V. v. 17. Id. VI. v. 8. I lutti della Chiesa e la ruina d'Italia derivano pur troppo dalla origine a cui alluse l'Alighieri nostro: «Ahi! Costantin di quanto mal fu madre «Non la tua conversion, ma quella dote, «Che da te prese il primo ricco padre

Adesso, uniti in bella ordinanza i Francesi e i Guelfi italiani, avendo per guida il Pontefice e il Conte di Provenza, muovono da Viterbo pel cammino di Roma. Cavalcava Clemente, vestito degli abiti pontificali, una bianca Chinea: la magnificenza del manto era tale, che non solo la sua persona, ma bene anche tutto il palafreno copriva, onde l'Alighieri ebbe a dire quello che disse nel Canto XXI del Paradiso¹: le barde del cavallo foderate all'esterno di scarlatto comparivano ricamate a rose d'oro; di scarlatto parimente ricamata a rose d'oro era la gualdrappa lunghissima: teneva su la testa una mitra, simile a quella che costumano i moderni Vescovi, però che il triregno non ornasse ancora le tempie pontificali, e fu soltanto sul finire di questo secolo, che primo l'adoperò il glorioso Papa Bonifazio VIII: nella manca stringeva il pastorale a similitudine del vincastro dei guardiani di pecore, per dinotare la mansuetudine di governo con la quale Gesù Cristo ordinava che si reggessero i Fedeli: la destra alzava in atto di benedire; e così ella era assuefatta a quel moto, che quando ancora non ne faceva mestieri segnava: ambedue le mani poi si vedevano coperte di bellissimi guanti, che in vocabolo canonico chiamavano chiroteche, e il dito anulare della destra cinto di sopra il guanto di un preziosissimo anello: di qua e di l

Il Direttore sorrise crollando il capo, in atto di compatimento; poi, restando sempre sulla poltrona, si avvicinò quanto gli fu possibile, faccia a faccia al Brunetti, e cominciò con un grosso sospiro: È destino comune degli uomini di genio, Aristide, l'Alighieri, Camoens, Fulton, Fara-Bon, che le loro grandi idealit

Amava all'italiana antica; perciò volentieri glorificava la bellezza nel recinto d'un tempio, come avevano fatto l'Alighieri e il Petrarca, e al pari di quei due immortali sarebbe stato capace di un amore puramente ideale.

Ramengo, infatti, ne intese di molti, i quali, in abiti bizzarri, accompagnandosi colla ghironda e la mandòla, gridavano stanze e sonetti appunto del Petrarca, di Cin da Pistoja, di Guido Cavalcanti, o leggende in cui si ricordavano le antiche vittorie dei Pisani sopra i Saracini di Sardegna, le imprese loro alle Crociate, il valore della Cinzica de' Sismondi, le cortesi prodezze di Uguccione della Fagiuola; senza dimenticare il conte Ugolino, sulla cui fine versavan tanto obbrobrio, quanta dispettosa compassione v'avea profuso l'Alighieri.

Confessate piuttosto, tanto mi ripugna di ammettere che potesse spiacervi la padrona di casa, confessate piuttosto che i suoi eterni visitatori vi seccano. Ah, quelli poi.... se mi date licenza, mi sfogo. Quelli, poi, mi fanno perder le staffe. Non ho mai visto più molesti.... come chiamarli? Lasciamo il sostantivo; certo l'Alighieri non li avrebbe chiamati mai graziosi benigni.

Finalmente Parigi offre alla commedia tutto il suo discorso completo, naturale, facile, brillante: il suo idioma da cinque secoli unificato. Prima ancora che si tingesse d'inchiostro la penna di Rabelais, il poeta francese aveva un mirabile vocabolario davanti che gli si sfogliava per via ad ogni parola di semplice passeggiatore. Prima che in Italia si avesse la coscienza e la conoscenza d'una possibile lingua nazionale, prima che l'Alighieri trovasse la sua grande utopia del volgare cortigiano o cardinale, un grand'uomo, il Diderot de' suoi tempi, Brunetto Latini scriveva sapienti cose in francese e diceva di questa lingua: la parliure française est plus délitable et plus commune