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Ma la fanciulla lo condusse a vedere i canarini, nella gabbia appesa a un chiodo nel muro della terrazza: disse un mondo di cose sul come l'aveva allevati, sul come li governava, sul bene che loro voleva. Quanto sono carini! Queste sole parole egli potè trovare restando a guardarli come il villano alla fiera il saltimbanco che dia nella gran cassa, sulla soglia della baracca.

Il sangue acceso del dottore gli mandò sul volto una vampata. Erano soli; dalla porta rimasta socchiusa penetrava un raggio di sole, i canarini si erano acquetati nel vano della finestra, le cui cortine di garza azzurra lasciavano passare una fantastica luce. Era venuta l'ora. Non l'esordio mancava oramai, ma l'occasione d'avventare una metafora.

Dico il vero, vivervi sempre in codesto mondo non mi sarebbe garbato punto, ma entrarvi al braccio d'un marito lungo, elegante, disinvolto e miope, attraversarlo tirandomi dietro lo strascico di velluto e cento occhiate curiose per poi uscirne e correre in una tranquilla casetta a ritrovare il micio, la gabbia dei canarini, la vesta da camera, il focolare ardente, le ciancie a quattr'occhi, l'ultimo romanzo pubblicato, la festa di ogni giorno ah! questo mi seduceva.

Al domani, avvezza a levarsi oramai all'alba, fu in piedi prestissimo; aveva un mondo di cose da fare diceva quando ebbe dato il miglio e l'acqua fresca ai canarini, e messo in ordine la guardaroba, si guardò intorno, non trovò più faccende. Prima del mezzodì fu costretta a spolverare vecchi fascicoli di musica ed a risvegliare gli echi sonnacchiosi del suo pianoforte rauco.

Dopo avere ubbriacati, uccisi o calpestati i guardiani, la gesticolante marea inondò l'immenso corridoio melmoso del serraglio, le cui gabbie, piene di velli danzanti ondeggiavano nel vapore delle urine selvatiche e oscillavano più leggiere che gabbie di canarini fra le braccia dei pazzi. Il regno dei leoni ringiovanì la Capitale.

Alle dieci e 35, lieta, giubilante del tiro fatto alla cuginetta dalla testa di bambola, ripartiva per Bellagio e con lei Olimpia, il cuoco ed i canarini. In cui si leggono i caratteri dell'amabile cuginetta.

Essa rammendava attentamente la biancheria, egli pigliava in mano le forbici, tagliuzzava un pezzetto di carta, e contemplava la cugina in silenzio. Argo ruzzava ai loro piedi, i canarini cantavano un duetto con trilli e variazioni, e Mumut faceva le fusa sulla finestra aperta, dalla quale entravano gli effluvi del giardino, e le onde odorose di primavera.

Agata vi aveva trasportato i suoi canarini che cantavano a squarciagola, un gatto che faceva le fusa e si lisciava il capo colla zampa o stava in contemplazione sui balconi, e de' bei colombi che beccavano le briciole sul pavimento o tubavano sulle porte.

Il maggiore comperò qualche provvigioni, poi salirono alla fortezza. I vostri canarini van bene? domandò Fuina, indicando con quella parola i galeotti. Si bezzicano di tanto in tanto. Milord sarebbe per caso uno scienziato che coltiva questa parte dell'istoria naturale? Un poco, rispose d'Altamura.

Il medico veniva due volte al giorno, e partiva colla testa bassa; il parroco si presentava alla porta per vedere se era venuto il momento anche per lui; un’aria di profonda malinconia dominava la casa, tutti portavano sul volto le traccie delle perdite recenti, e l’apprensione dell’avvenire. Perfino i canarini mutavano le penne, e non cantavano più. Il solo indifferente a tutto quel cambiamento di scena era Mumut, il vecchio gatto di casa, il quale continuava impassibile a presentarsi al balcone della cucina all’ora consueta, e nella beata aspettativa del pasto schiacciava un sonnellino, e faceva le fusa. Tutto il resto pareva colpito d’una immobilit