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ASTROLOGO. Non me la darete dunque? RONCA. È fatta commune giá, non può tornarsi piú. ASTROLOGO. Dubito che me la vogliano fare. GRAMIGNA. Non bisogna dubitarne: e ve l'abbiamo fatta giá. ARPIONE. E tu, che pensavi piantar lo stendardo su la torre di Babilona, restarai piantato per ornamento di una berlina, per trofeo di una forca e per ciambello di corde.

Ma come costui avrá potuto cosí stendere le membra e torcer le braccia, come i bagatellieri che fanno vedere e stravedere? o forse me l'ha tolta con i piedi? Or conosco che son un asino: non ha detto che si chiamava Arpione e che mi voleva arpizar la borsa? Perché lasciarmi arpizarla? Certo, che devo essere il vignarolo e non Guglielmo! ARPIONE. Signor Guglielmo, che avete?

ASTROLOGO. Non mi volete dar dunque la parte mia? RONCA. Non saressimo ladri se non sapessimo rubbar da te: siamo tuoi discepoli, e tu ci hai addottorati. ASTROLOGO. E l'amicizia? ARPIONE. Che amicizia è tra ladri? par che da cominci a conoscerci? ASTROLOGO. E la fede?

ALBUMAZAR. Andaremo a spasso per mezza ora; poi tornate, aprite la camera e trovarete il vostro vignarolo trasformato in tutto; e poi verrò per la promessa per la catena. PANDOLFO. Cosí faremo. ALBUMAZAR. Ronchilio, Gramigna, Arpione, uscite qui fuori. RONCA. Eccoci, che volete? ALBUMAZAR. Giá abbiamo conseguito quanto desiavamo: resta poca cosa a complire.

RONCA. Questa volta i discepoli hanno saputo piú che il maestro: noi giovani t'insegniamo a te che sei vecchio d'anni e d'inganni. ASTROLOGO. Mi date licenza che vi dica una parola? RONCA. Dinne cento, ché noi siamo piú tuoi che tu del diavolo. ASTROLOGO. Questa vostra impietá mi fará divenir uomo da bene. ARPIONE. Non può essere che tu facci tanto torto alla forca che ti aspetta.

ARPIONE. Orsú, me vi raccomando. A rivederci, ringrazio la vostra liberalitá. VIGNAROLO. Ed io vi bacio le mani. Oimè oimè, la mia borsa! oimè, i miei danari, o messer Arpione! ARPIONE. Eccomi, che volete? VIGNAROLO. Mostrami la mano. ARPIONE. Eccola. VIGNAROLO. Dove è l'altra? ARPIONE. Eccola. VIGNAROLO. Dove è l'altra? ARPIONE. Che volete che abbia cento mani? VIGNAROLO. Quale è la destra?

ARPIONE. Che cosa è fede? la prima cosa che tu ci insegnassi, fu che sbandissimo da noi la fede; mai l'abbiamo conosciuta che cosa sia. ASTROLOGO. E la promessa? RONCA. Se le promesse non si osservano fra uomini da bene, con tanti scritti, testimoni e instromenti, come cerchi la osservanza della promessa tra ladri? ASTROLOGO. Mi son affaticato tanto oggi per guadagnare....

VIGNAROLO. Oh che sia benedetto quel punto nel quale mi trasformai in Guglielmo, ché, non avendo in vita mia mai potuto accoppiare uno carlino quando era vignarolo, or, essendo Guglielmo, in un punto ho guadagnato dieci ducati! ARPIONE. Vi ho visto sbarcare or ora dalla nave, signor Guglielmo, di che ne ho tanta allegrezza che non posso contenermi di non abbracciarvi e baciarvi.

GERASTO. Ben, bene, queste cose se danno ad intendere a pari miei? Arpione, Tenente, Graffagnino, pigliate questo, legatelo, bastoneggiatelo ad usanza d'asino. NARTICOFORO. Vi veggio, Gerasto, in gran travagli con costui. GERASTO. Sappi, Narticoforo caro, che son stato tutto oggi aggirato per cagion di costui, il quale è stato fonte, origine e principio d'ogni garbuglio e d'ogni male.

RONCA. Attendete a far bene voi la parte vostra, ché da noi vedrai effetti che avanzaranno la tua stima. ALBUMAZAR. Eccolo che viene. Arpione, discostati, ascolta ciò che dice e riferiscimelo; Gramigna, trattienti su la porta e vedi narrargli qualche miracolo de' miei, perché io me ne entro. PANDOLFO vecchio, CRICCA servo, GRAMIGNA.