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Vien, di grazia, presto; se non, mi rimanderebbe un'altra volta a cercarte crederebbe ch'io t'avesse fatto l'ambasciata. LELIA. Orsú! Va', Pasquella, ch'io verrò. Burlavo teco. PASQUELLA. Quando, gioia mia? LELIA. Presto. PASQUELLA. Quanto presto? LELIA. Tosto. Va'. PASQUELLA. T'aspettarò all'uscio di casa, veh! LELIA. , . PASQUELLA. Uh! Sai? Se tu non vieni, m'adirarò.

Agata m'ascoltava senza falsa modestia, continuando a mostrarmi i piaceri e i vantaggi della lettura, ed eccitandomi a far parte del loro circolo delle letture serali. Verrò di certo, le risposi con riconoscenza, e sono sicuro che le notti di quest'inverno saranno per me più belle dei giorni estivi, più utili di qualunque altro studio, più care d'ogni diletto cittadino.

È malato il vostro? borbottò di malumore; poi, fattosi discorrere a lungo intorno all'indisposizione del vecchio: non è niente soggiunse; colpa degli anni: settanta primavere sono settanta quintali. Andate pure, Elena; verrò io domani senza dubbio. Elena partì consolata.

Io verrò con mio comodo, quando tu avrai spianata la via e messo al corrente di tutto lo sceicco. Il nubiano riprese gli oggetti che aveva deposti a terra e tornò a partire.

ALESSANDRO. Non altro di questo? PIRINO. Non altro. ALESSANDRO. Perché tanti scongiuri? PIRINO. Con questo verrò a rubar la mia Melitea dalle mani del ruffiano, come poi vi dirò piú a lungo in casa vostra. Aiutatemi, amico caro, a cosí onesto e onorato furto; e se mi potrete scambiar questi danari in altri, me ne farete piacere, perché son di mio padre, ché non venisse a riconoscergli.

È il cielo che ho pregato così di cuore che vi ha mandato... Prima di partire, venite qui, ve ne scongiuro, e battete un legger colpo colle dita nell'uscio, io sarò dietro il battente ad aspettarvi... Venite per amor di Dio, ve lo domando come una grazia. Va bene, rispose Matteo, ci verrò. Sicuro? , , ve lo prometto. Dio vi benedica, compare Matteo.

Perchè no? Se tu sei persuaso che non possa venirne alcun utile.... L'utile che tu intendi....no....ma io ci verrò nullameno.

Promettetemi adesso che, se io fossi presso a morire, voi verrete a consolarmi, a benedirmi, anche laggiù... Verrò... figliuola, verrò... E... se non riuscissi a dimenticare... se quell'immagine fosse sempre più forte della mia volont

DON FLAMINIO. Andiamo a cenare e verremo quando sará piú imbrunita la notte. DON IGNAZIO. Andiamo. DON FLAMINIO. Andate prima, ché verrò dopoi. PANIMBOLO. Giá è gito via. DON FLAMINIO. Panimbolo, a me par che la cosa riesca bene. PANIMBOLO. Avete finto assai naturale. Mi son accorto che la gelosia li attaccò la lingua che non possea esprimere parola.

Tre volte Giovanni Serra mancò alla sua promessa. Le diceva: verrò domani sera, alle nove. Clara lo aspettava in preda a una emozione nervosa, a cui la sua fantasia dava un carattere passionale. Ella dal pomeriggio dava ordine che nessun altro venisse introdotto e ripeteva le sue raccomandazioni, alla cameriera, con insistenza: quando l'ora si appressava, per frenare la sua torbida impazienza, ella si metteva a riordinare delle carte, prendeva un libro, forzandosi a intendere ciò che leggeva. Giovanni non veniva. Le fresche rose che ella aveva messe nei vaselli nitidi, rientrando a casa, parea che declinassero e languissero, quasi per morte; il fuoco si covriva di cenere, nel caminetto; ed ella, discesa dalle esaltazioni sentimentali, cadeva in uno snervamento profondo. Alla fine di queste serate d'inutile attesa, la parte più sincera di lei pensava che era meglio, lasciar finire, senza finirla, questa singolare avventura, che le cose morte non si vivificano e che anche per lei, Clara, così innamorata dell'amore, era troppo tardi per tentare un ultimo fatto del cuore. Ma l'istinto della vanit