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Dopo questo discorso, lo spirito di Sant'Aubert parve molto più tranquillo; ma, spossato dallo sforzo fatto, cadde nel sopore. Emilia continuò ad assisterlo ed a piangere vicino a lui, fino a che un lieve colpo battuto alla porta della camera la costrinse a rialzarsi. Voisin venivale a dire che dabbasso eravi un confessore del convento vicino, pronto ad assistere suo padre; ma essa non volle che lo si svegliasse, e fece pregare il sacerdote a non andarsene. Quando Sant'Aubert uscì dal suo sopore, tutti i suoi sensi erano confusi; e ci volle qualche tempo prima ch'ei riconoscesse Emilia. Allora mosse le labbra, le stese la mano, ed essa fu dolorosamente colpita dall'impressione di morte che osservava in tutti i suoi lineamenti. Dopo pochi minuti ricuperò la voce, ed Emilia gli domandò se desiderava vedere un confessore. Le rispose di , ed appena fu introdotto il reverendo padre, ella si ritirò. Restarono insieme circa mezz'ora: quindi fu richiamata Emilia, che trovò il padre più agitato, ed essa allora guardò il confessore con alquanto risentimento, come s'egli ne fosse stato la cagione. Il buon religioso la rimirò con dolcezza, e Sant'Aubert, con voce tremebonda, la pregò di unire le sue preghiere a quelle degli altri, e dimandò se il suo ospite non volesse associarvisi. Il buon vecchio ed Agnese arrivarono amendue piangendo, e s'inginocchiarono vicino al letto. Il reverendo padre, con voce maestosa, recitò lentamente le preci degli agonizzanti. Sant'Aubert, con volto sereno, si univa con fervore alla loro devozione; qualche lacrima sfuggivagli talvolta dalle socchiuse pupille, ed i singulti di Emilia interruppero spesso l'uffizio. Quando fu finito, e che venne amministrata l'estrema unzione, il religioso se n'andò. Sant'Aubert fe' segno a Voisin d'avvicinarsegli, gli porse la mano, e stette alcun tempo in silenzio. Alfine gli disse con voce fioca: «Mio buon amico, la nostra conoscenza fu breve, ma essa bastò per dimostrarmi il vostro buon cuore; io non dubito che voi non trasportiate tutta questa benevolenza su mia figlia: quando non sarò più, essa ne avr

Poi voleva che non facesse la caparbia, che smettesse il viziaccio di farsi sempre portare in collo per istrada, e infine, quando erano la sera al Caffè d'Europa, perchè «si abituasse ad essere di buon cuore», l'obbligava a dividere con Agnese il biscottino che la bamberottola succiava adagio adagio, tuffandolo nella mezza marenata della mamma.

Sventurato coluidisse la badessa, «che conosce male la nostra santa religioneEmilia ascoltava Agnese in silenzio e con rispetto: considerava la miniatura, e si accertava della somiglianza del ritratto con quello veduto a Udolfo. «Questa figura non mi è ignotadiss'ella per far ispiegare la monaca. Voi v'ingannaterispose suor Agnese, «e non l'avete mai certamente veduta.

Ma fanciullo di sei anni, la tutela di lui fu prima di Agnese sua madre, poi di Annone arcivescovo di Colonia, uno zelante anzi austero prelato, poi di Adelberto di Brema tutto diverso, i quali ei prese in ira a vicenda, e con essi forse ogni uom di chiesa.

Quando suor Agnese ebbe ripresi i sensi, guardò ancora Emilia, ma senza smarrimento, e con una profonda espressione di dolore; passarono alcuni minuti prima che potesse parlare, poi disse debolmente: «La somiglianza è maravigliosa! è più che immaginazione riscaldata! Ditemi, ve ne scongiuro, se, malgrado il nome di Sant'Aubert, che voi portate, non siete figlia della marchesa.

«Non mi resta più che una figliadisse Voisin, «ma fortunatamente essa è maritata e mi tiene luogo di tutto. Quando morì mia moglieaggiuns'egli sospirando, «io andai a riunirmi con Agnese e la sua famiglia. Essa ha parecchi figli, che voi vedete ballare laggiù, allegri e grassi come tanti fringuelli.

Agnese non pareva più la stessa dei primi giorni: aveva il visino pallido, affilato, e il corpicciuolo curvo, dimagrato sotto l'abito cencioso.

«Portatemi la mia cassetta, sorelladisse Agnese, «e vi svelerò tutto. Guardatevi in quello specchio, e lo saprete; voi siete certo sua figlia; altrimenti come spiegare una somiglianza così perfettaLa monaca le portò la cassetta; suor Agnese gliela fece aprire, e ne cavò una miniatura, che Emilia riconobbe esattamente somigliante a quella da lei trovata nelle carte di suo padre.

Quella notte che Santa Lucia doveva passar da Verona, Agnese pregò per ore ed ore inginocchiata a piè del lettuccio, sul pavimento diaccio, tremando di freddo nella lacera camicina. Ma era riscaldata dal fervore stesso della sua fede.

rispose suor Agnese; «ma chi potrebbe mai indagare i miei pensieri? Chi oser