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Or considerate, signore mie care se pur è alcuna fra voi che l'abbia provato, che dispiacer sente quella poveretta, quando dopo tanti prieghi, o spinta da pari ardore o da vera pietade, gli fa dono dell'amor suo, e quando stima che l'amor debba crescere, quello veggia scemarsi, annullarsi, anzi in odio convertirsi?

Onde avendo passati innumerabili travagli, posso innumerabilmente ringraziare il cielo che mi veggia salvo. Vo' aviarmi verso la casa mia. O Cricca, che tu sia il ben trovato! Come sta Pandolfo mio amico? CRICCA. Mi rallegro dell'accrescimento del vostro stato: che di padron che vi sia Pandolfo, or vi sia divenuto amico. GUGLIELMO. Che dice il mio caro Cricca?

Pero` ti priego, e tu, padre, m'accerta s'io posso prender tanta grazia, ch'io ti veggia con imagine scoverta>>. Ond'elli: <<Frate, il tuo alto disio s'adempiera` in su l'ultima spera, ove s'adempion tutti li altri e 'l mio. Ivi e` perfetta, matura e intera ciascuna disianza; in quella sola e` ogne parte la` ove sempr'era,

DON FLAMINIO. Non lo crederá mio fratello ancorché lo vedesse con gli occhi suoi. PANIMBOLO. E bisognando, faremo che lo veggia: come fargli veder di notte che alcuno entri in casa sua, mostrargli veste sue, gioie che portò quel giorno della festa o de' doni propri mandati; e per mezzo della notte agevolmente si può far veder una cosa per un'altra. DON FLAMINIO. E ciò come farassi?

Però ti priego, e tu, padre, m’accerta s’io posso prender tanta grazia, ch’io ti veggia con imagine scoverta». Ond’ elli: «Frate, il tuo alto disio s’adempier

ma priego che m’addite la cagione, ch’i’ la veggia e ch’i’ la mostri altrui; ché nel cielo uno, e un qua giù la pone». Alto sospir, che duolo strinse in «uhi!», mise fuor prima; e poi cominciò: «Frate, lo mondo è cieco, e tu vien ben da lui. Voi che vivete ogne cagion recate pur suso al cielo, pur come se tutto movesse seco di necessitate.

49 Egli l'abbraccia ed a piacer la tocca ed ella dorme e non può fare ischermo. Or le bacia il bel petto, ora la bocca; non è chi 'l veggia in quel loco aspro ed ermo. Ma ne l'incontro il suo destrier trabocca; ch'al disio non risponde il corpo infermo: era mal atto, perché avea troppi anni; e potr

Io, per me, farò ogni cosa pur che lo trovi. Va bene. Vuole ch'io vada sino a casa d'una certa Filippa che abita in Treio e ch'io veggia di parlar al servo di misser Curzio el quale è innamorato della figliuola. E hami imposto ch'io gli dica ch'ella è contenta e che, stanotte, ne venga su le tre ore, pur che del prezzo che molte fiate li ha mandato a offerire non gli venghi meno.

ERASTO. Dico che la tua è una soverchia importunitá, ché non passo mai di qua se non ti veggia in questa strada passeggiare; però cava fuor la spada. CAPITANO. Non è mia usanza por mano alla spada, se almeno con un colpo non ho speranza di squartar cento uomini, sbarattar un essercito, cacciarmi dinanzi dieci bandiere; e avendola in mano nuda, ammazzo cosí gli amici come gli nemici.

PSEUDONIMO. Io non so se sogno o se son desto, poiché conseguisco cosa, in un punto, che ho desiderato dicisette anni. Di grazia, chiamatela ché la veggia, ché ogni momento mi par mill'anni. PEDANTE. Lima, Lima, vien qui con Altilia. LIMA. Che commandate, padrone? PEDANTE. Chiama qui fuori Altilia. ALTILIA. Eccomi, che commandate, padre? PEDANTE. Lima, conosci quel gentiluomo?