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al suon de la dolcissima armonia ferman le penne i tempestosi venti; stanno i giri del ciel taciti e intenti; e non ch'altri, ma Febo il corso oblìa. E qual alma mortal la mira e ascolta, ad ogni uman disìo tutta si toglie e con tutti i pensieri al cielo aspira. La mia, che mai da lei non si discioglie, col vago spirto suo da Amore accolta a quel si stringe, e 'ntorno a lei s'aggira. Dello stesso

La risposta si sperdeva nel torpore che m'invadeva la mente, proprio come quella nebbia che vedevo inoltrarsi lieve, lenta, e che pareva scancellasse le sembianze delle cose, coinvolgendo dentro i suoi taciti veli biancastri la scura massa delle case, i campanili, le cupole, le cime degli alberi dei giardini attorno, spegnendo i fanali, di mano in mano che si accostava; prima, trasparente, simile a quei teli di garza scendenti dall'alto di uno scenario, e poi sempre più e più densa, tanto da coprire allo sguardo fin gli oggetti più vicini.

Statene dunque, o de' miei secreti consapevoli, statene taciti e quieti, ma non taciti e quieti che le rime mie, le quali ora sono cantando per isfogare, non subito le riportati e recantati a le sue divine orecchie. E perché voi avete ad essere miei fidelissimi compagni, consequevolmente voglio che d'ogni mio secreto voi siate participevoli.

Quindi per uno di quegli accordi taciti, che solo i grandi dolori suggeriscono, ciascuno evitava di parlare del piccolo Giulio; solo il dottore, che andava spesso a trovarlo, riassumeva tutte le notizie in un solito: Va bene. Quelle sere i volti erano più ansiosi; ma dopo queste parole sacramentali, la conversazione stentava ancora più a riannodarsi. Verso Natale Bice insistè per vederlo.

E spingendolo innanzi a me con dolce violenza lo trassi nella prossima camera. Raimondo non aveva avuto tempo di riflettere, di conoscere l'inganno, che si trovava innanzi ad Eugenio. Lo guardò un istante più commosso che meravigliato; e si gettò piangendo nelle sue braccia. .... Ci inoltravamo taciti e mesti. Raimondo andava innanzi, Eugenio ed io a fianco l'un dell'altro. Nevicava.

Taciti giungono sotto le mura; non hanno scale, e fansele con le aste delle armi legate insieme; sulle quali un Fasano messinese montò primo tra tutti. Abbattutosi con le guardie ch'eran deste, ne uccide quattro costui, ucciso è dalle rimagnenti; ma pochi altri Messinesi seguendolo schiudean le porte; ondechè fu messa la terra a sacco, con assai più sangue che a Nicotra.

Il terreno imbiancato aveva aspetto d'una lapide immensa, e le croci nere parevano un epitafio scolpito... Stampavamo l'orma dei nostri passi sulla neve, e ci inoltravamo taciti e mesti. Ci arrestammo innanzi ad una lapide di marmo bianco, su cui non ancor rose dal tempo si leggevano le parole bibliche: PERCH

Son macri volti e petti strazïati, Teste coperte di polve e di spine, Sfolgoranti d’amor luci divine, Corpi da interne piaghe divorati. Ed io domando: Ma chi siete voi, Che accennando sfilate a me davanti, E m’arridete, taciti e raggianti, Nella gloria del sol?...