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MERLINO. Di componerti un sonnetto. LIMERNO. Or baldamente t'intendo: grandissima è la differenzia tra lo «sonnetto» e «sonetto». MERLINO. Quanto è tra 'l persutto e lo schenale. LIMERNO. Io ti voleva domandare lo giudizio tuo de lo verso come del recitatore; ma, per quello che me ne pare, ho ragionato con le mura. MERLINO. Anzi, e la campana e lo campanaro mi è piaciuto, ma...

PILASTRINO. Hai detto assai: ma non t'intendo. CRISAULO. Ti farò sturare gli orecchi, per mia . Dico che omai le tuoi ghiottonarie sono scoperte e che, se tu non rendi a Girifalco la robba sua, ti vo' far pigliar io e darti a l'auditore. PILASTRINO. Oimè meschino! Questa è la colazion che mi volevi dare? Oh che nuova acerba!

Quanto piú segni mi dái, men t'intendo. PEDOLITRO. Che parlo arabico o tartaresco? Fai della stordita, per non accettar la veritá. CLERIA. Fai tu del cattivo, per farmi accettare il falso. PEDOLITRO. Non m'hai servito duo mesi in casa di Pandolfo in Vineggia, quando cadei infermo duo anni sono? CLERIA. O Dio, che ascolto! PEDOLITRO. Dico che tu sei Sofia, intendi? a chi dico io?

Ma il funereo suono de' tamburi annunziava l'ora fatale: Girani riscosso stette ad udirlo, e intrepido come ebbe rivolto uno sguardo confortatore alla sua Marcellina , t'intendo, voce di morte, io vengo.

Giusto! disse Aloise. Ma saran poi tutte rose? Eh, t'intendo; rispose il duca, tentennando la testa. La mia esperienza, tra tante imprese fortunate, ricorda ancora parecchie disillusioni. C'è qualche volta il tuo governo in mano a gente dappoco, che non t'intende e ti guasta il lavoro.

Ma voi fanciulle fate profession d'esser crudeli e di lasciar morir prima la gente che li porgessi aita d'un sol guardo o d'una paroletta; ma, nel fine, tornan sopra di voi: non me n'impaccio. Ma non è giá 'l dover chi tanto v'ama apprezzar cosí poco. Tieni a mente che al pentirci siam noi sempre le prime, come l'ultime a creder. LÚCIA. Non t'intendo. Parla piú chiaro.

MANGONE. Ella è vivanda riserbata per la tua bocca. DOTTORE. Mangone, sai che vorrei dire? MANGONE. T'intendo: che Pirino non mi faccia qualche burla. Ti rispondo che le burle sono bene ad inventarle e ordinarle, ma a far che riescano, eh ci vuol altro che parole! DOTTORE. Intendo che ha un servo molto astuto e sottile... MANGONE. Come quello uccello che porta il grano al molino.

MORFEO. Fuggir io? non mi partirei di questa casa senza mangiar prima, se m'uccideste: sto con tanto desiderio aspettando questa cena che il collo me s'è dilungato un miglio. ESSANDRO. Dimmi, Panurgo, come potresti rimediare a questo? PANURGO. Faccisi che quel che è stato, non sia stato: e quel che è per essere, che non sia. ESSANDRO. Non t'intendo. Rispondi, che faremo?

Cavalli! soggiunse egli, rispondendo ad un gesto del compagno, che si era voltato stupefatto a guardarlo. Cavalli, sicuro; disse di rimando Tommaso; e poi? Non hai indovinato? Son essi. Essi? Pronome, e nient'altro; ripigliò il Sangonetto; io non t'intendo. Giacomo Pico crollò le spalle in atto d'impazienza.

PIRINO. Egli vi ama tanto che, per far libera voi, s'è fatto servo e, per ricomprar voi, s'ha fatto vender per ischiavo e, per rischiarar gli oscuri nuvoli de' vostri affanni, s'è fatto piú oscuro dell'istessa oscuritá. MELITEA. Io non t'intendo. PIRINO. L'intenderete poi. Ma or vo' scoprirvi tutte le cose che son passate ne' vostri amori. MELITEA. Orsú, di' via.