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Aggiornato: 21 maggio 2025
Che osi tu vantare? Che osi tu?... Quello che da qualche dì vado scoprendo sempre più mi addolora. Di quai sette vai parlando? stolto! credi che a forza di macchinare in segreto potrai render felice il suolo natío? passarono quei tenebrosi tempi, ed oggi saria vergogna l'appartenere a quella misteriosa setta; ciò farebbe altrettanto torto quanto far parte di una masnada di assassini. Si, e conosciuto ch'io ebbi le sette, le abborrii come micidiali, le reputai come inutili, non le stimai più degne di quel nome di liberatrici che si erano date. Forse a quell'epoca alcuni potevano crederle vantaggiose, ma il tempo ha svelato la verit
Il convento possiede una piccola biblioteca e vi sono dei frati che si dedicano a studi severi, ma in generale lo studio non è troppo coltivato in quel deserto. Me ne persuasi conversando col bibliotecario mentre passeggiavamo insieme nel grande cortile, e vedendo che le mie domande ponevano nell'imbarazzo quel bravo uomo stimai conveniente di non seguitare quel discorso. Mi congedai da lui e mi sedetti in uno dei cortili osservando le figure dei monaci che passeggiavano. Essi apparivano veramente maestosi nelle loro tonache bianche come la neve. Mi sorprese il vedere che non portavano nè barba, nè capelli poichè ogni mese si fanno radere due volte anche la testa lasciando solo una corona di capelli. Soltanto i laici portano una lunga barba come i frati cappuccini. Vi sono molti gradi fra i monaci, simili a quelli dei mistici seguaci di Pitagora. Non vidi i frati più elevati in grado perchè erano nelle loro celle. Il silenzio nel quale si racchiudono, può esser considerato come il sacrifizio supremo a cui possa giungere il fanatismo umano spinto dalla religione. Rinunciando alla parola, la chiave della vita e delle cose, essi confinano l'anima in una quiete quasi spaventosa che equivale ad una completa cecit
Usai del suo nome, il quale, come di segretario, non scemava nè cresceva gran fatto valore al proclama, perchè io l'aveva lasciato farneticante, al cospetto di tutti i nostri, per l'azione pochi giorni prima ch'io mi partissi, e stimai dargli prova d'amicizia e pegno d'onore firmando per lui.
Io stimai, ch'ei giungesse a quella morte Per cagion de l'amor de la consorte. E però senno giudicai frodarsi Con simulato cor tanta sventura, Che la colpa del re manifestarsi Mal nostra vita renderìa sicura. Dunque fra i pianti e fra i sospiri sparsi Pensammo come porsi in sepoltura Dovesse il corpo sfortunato; e poi Di lui non far parola unqua fra noi.
È una gran lama che io stimai di buona tempera la prima volta che la vidi in Vienna dal mio spadaio; e quando l'ebbi in mano provai che non m'era ingannato all'aspetto. Ma io vi parlo d'armi e di tempere e vi faccio ridere...» Bianca capì, ma non disse nulla: e lasciandosi condurre silenziosa, si ritirò con lui nella casa dove alloggiavano.
Vegno qua sù, perchè minor periglio Stimai partire entro la notte ombrosa; E mentre quì m'ascondo, il mio naviglio Ed il nocchier l
Costrutto, come potetti, l'ordine di battaglia e fissato il posto per la brigata, rimisi la povera bestia al galoppo ora pei campi ora sulla strada, affidandomi più al suo istinto che al mio discernimento, così inumanamente fitte erano le tenebre. A lungo andare mi convinsi che invece di scoprire la brigata avrei dato del capo in una pattuglia borbonica, e me ne sarei ito sotto scorta agli ozî di Capua. In questi pensieri stimai propizie le tenebre, dapprima imprecate. Nel mio viaggio ad S maiuscola fra la strada e i campi, intesi il rumore a cadenza di soldati in cammino, ed aspettai a piè fermo con pistola montata. Giunta la colonna a tiro di parola, intimai l'alto, chi va l
Questa ancora, per colpirmi nel mezzo del cuore! Male lo stimai volpe; è una tigre, quel re. Ma per qual ragione, Dio santo? domandava il Fiesco, torcendo convulsamente le mani, impossenti a sbranare un lontano e troppo alto nemico. Con quale pretesto?
Erami duro vedermi innanzi ognor colei, che s'ebbe, non lo mertando, il mio Neron primiera: ma, del suo esiglio paga, a' suoi delitti stimai che pena ella ben ampia avesse, nel perder te: pena, qual io... NER. Deh! lascia parlar Seneca, e il volgo. A Roma or ora chiaro farò, qual sia quest'idol suo.
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