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Aggiornato: 23 giugno 2025


Diceva la casa mia essere appestata, che lui era Narticoforo e ch'io non fusse Gerasto; alfin volea che Cintio non fusse figlio di Narticoforo. ESSANDRO. Voi sète Gerasto medico, eh? GERASTO. Io son; che volete per questo? ESSANDRO. Avete voi avuto rissa con un maestro di scola? GERASTO. Con uno che per tale si volea far conoscere.

PANURGO. Morfeo, ricordati chiamarmi Narticoforo e tu Cintio, e avermi rispetto proprio come ti fusse padre. MORFEO. Me ne ricordo e straricordo cosí bene che lo potrei ricordare allo ricordo istesso. PANURGO. Ricordati ancora... MORFEO. Non tanti ricordi, che ad uno che si ricorda, i troppi ricordi lo fanno smenticare; ricorda te stesso, che ne hai piú bisogno di me.

Troveremo un uomo vecchio dell'etá di Narticoforo e un altro giovanetto storpiato, o lo sconciaremo noi piú della mala ventura, e li faremo oggi smontar in casa di Gerasto, che lui, veggendolo cosí brutto, si vergogni darlo per marito a sua figlia e gli dii licenza. ESSANDRO. E quando Gerasto volesse pur darglilo, per contentarsi egli di poca dote, essendo molto ricco...?

io ho nipote trinepote che possa pormi legge: e tutto è mentita quanto hai detto. NARTICOFORO. Ho detto il vero, piú vero di quel vero che tu dici. GERASTO. È ben vero che ho promesso a Narticoforo romano, onoratissimo uomo, dar mia figlia Cleria per moglie a Cintio suo figlio, e a lui sta a menarsela in Roma quando gli piace; e tu devi esser di cattiva lingua.

NEPITA. Se stesse qui, non anderei caminando. NARTICOFORO. Dove stai dunque? NEPITA. Dove mi fermo. NARTICOFORO. Dico se sei di qua. NEPITA. Giá, non son d'oltramare o d'oltra i monti. NARTICOFORO. Dico se stai in questa casa. NEPITA. Se stessi in questa casa, non starei in piazza. NARTICOFORO. Vo' saper se stai con Gerasto. NEPITA. Se sto teco adesso, come posso stare con Gerasto?

GERASTO. Parla: chi è costui? forse lo troverai piú presto. GRANCHIO. Gerasto medico. GERASTO. Ecco, l'hai trovato, non cercar piú. Tu chi sei? chi ti manda? che sei venuto a fare? GRANCHIO. Io son Granchio, servo di Narticoforo romano, che mi manda per correo innanzi, ché lo avisi come esso e Cintio suo figliuolo sono in Napoli e or se ne vengono a casa sua.

ESSANDRO. Dimmi, tu chi sei? NARTICOFORO. romano ludimagistro. ESSANDRO. Alla puzza de' piedi conosco che sei pedante. O tu sei quel desso o devi conoscere quel pedante ch'io cerco. Conosci tu Narticoforo romano? NARTICOFORO. Ti giuro per il quaternario e per la brassica ch'io non lo conosco. ESSANDRO. Che quaternario? che brassica?

A me il male ha profundato le parti di dietro, e sono incancherite. Onde la poveretta non bisogna che piú si mariti, ma che si muoia in casa overo in un monistero, benché sian brevi i giorni suoi. NARTICOFORO. Perché prima che mi fusse accinto a questo itinere, non mi avete reso cerziore di questo fatto? PANURGO. Che strada avete voi fatta al venire?

GRANCHIO. Oh, come ha fatto bene a in non farsi battere e a me questa fatica di batterla, ché giá m'aveva sputato su le mani e stretto il pugno per gastigarla; e ne vien fuori una fantesca. NARTICOFORO. Ipsa est ipse ego, ipse tu ipsa illa. GRANCHIO. O bella giovane e da bene,... NEPITA. Sei ben un tristo tu. GRANCHIO.... di grazia, volgetevi a noi.

APOLLIONE. Questo che dice è vero, e a me par mio fratello. PANURGO. Non hai tu un segnale nella schena, ché avendoti in braccio, quando era piccino, ti fei cadere e percotere in una pietra aguzza, di che giacesti duo mesi in letto e ancor ne devi aver la cicatrice? APOLLIONE. Questo è mio fratellissimo. O fratello ricercato e desiderato! NARTICOFORO. Può esser che tu voglia essere cosí credulo?

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