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È parso come un vento infocato del deserto che passi per la frigida e grigia atmosfera del nostro inverno, sulle nostre coscienze, che dopo le vampe luminose della epopea garibaldina si erano adagiate nel crepuscolo secolare della nostra vita di servitù.

VIGNAROLO, ARMELLINA serva. Prima non conosceva altro pensiero che star alla villa; e doppo che mi sono innamorato bestialmente, mi par che in villa sia sempre inverno, e la primavera fuggirsi alla cittá per starsi con la mia Armellina. Son risoluto narrarle l'amor mio e richiederla, ché alle donne bisogna dir qualche parola, poi lasciar fare al diavolo che sempre lavora.

Ma il babbo, quell'uomo che vedeva così di rado; quell'uomo che per aver dato pochi pugni leggeri leggeri, tirava il fiato sul letto, poco fa; quell'uomo che la mattina si alzava col lume, e via; che la sera col boccone ancora in bocca, pioggia o bel tempo, inverno o estate, neve o afa, si alzava e via; quell'uomo che poco fa aveva detto «vergognagli stava davanti: penosamente davanti.

S. Girolamo, nel deserto, per scacciare le rinascenti fiamme degli impuri desiderî, si percuote il petto con un sasso; Ildeberga, denudata il ventre e i ginocchi, in pieno inverno, si tiene aderente al pavimento; S. Veronica Giuliani porta gravi pesi, si trascina su le ginocchia notti intere; suor Maria Rosa Giannini si batte con funi, si cinge le reni, le braccia, le cosce e le gambe con catenelle di ferro munite di punte, e prega con le mani sotto le ginocchia; S. Bernardo si butta in uno stagno gelato e vi rimane quasi esanime; S.^a Geltrude d'Eisleben si getta anch'essa in uno stagno, una notte invernale, e sta per affogarvi; S. Francesco di Assisi si rotola e sommerge fra la neve; S. Benedetto si caccia nudo in mezzo a una siepe di ortiche e di rovi; suor Maria Maddalena dei Pazzi si cinge una cintura fitta di chiodi acutissimi; Santa Oliva si configge punte di ferro nelle mammelle; il beato Giovanni Grande si stende sopra un letto di carboni ardenti e si abbrustolisce le carni.

17-20 Aprile 1814 SCRITTA IN NIZZA Inverno 1817. 17-20 di Aprile 1814

Gesù Maria Joseph! gemeva la signora Angelica. Gesù Maria! rispondeva la signora Rosina, congiungendo le palme. Che inverno! che siberico! Povera vigna! Povero Gigantesso! Jesus Maria Joseph! Jesus Maria!

Narciso si fece a bere un altro bicchiere d'acquavite e poi, prendendo pel mento la donna: Mamma Vascello, non senti tu che scroscio? uh!... In questo tempo si udì il cupo rimbombo di un folgore, che fece tremar l'invetriata e col lampo ceruleo abbarbagliò la vista. Misericordia! urlò Vascello. È inverno, pare impossibile: quale oragano!

Mi parlava dei suoi progetti per il prossimo inverno, si faceva promettere tante cose, e mi assicurava che saremmo stati felici. Io stesso mi abbandonavo a crederlo. Benedetto il sorriso del dolore, benedette le povere lusinghe della sventura! All'improvviso Clelia si sentì venir meno. Tu soffri? le domandai.

Della vita, la poveretta non conobbe mai nulla, del mondo non potè vedere che le quattro pareti della triste casa paterna, un umido cortiletto, e il convento e il tratto di strada che conduceva alla chiesa, e la chiesa dove il padre la traeva, estate e inverno, ad assistere alla prima messa. In casa, naturalmente, a fare le più umili come le più faticose bisogne, non c'era altra persona che lei.

PRIMADONNA. Ah.... basti!... TENORE. Basti.... cadiam! Ahi! Primadonna è spenta!... FRATE. È spento anche il Tenor!... Gran Dio!... Finita è l'opera.... Sia lode al crëator! Nel luglio e nell'agosto provo un delizioso refrigerio nuotando nel lago o nel mare, ma anche nel più rigido inverno nuoterei volentieri nelle ricchezze.