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Aggiornato: 1 ottobre 2025
Ma io glie li torrò stasera e renderottegli, se tu non me gli vuoi aver dati. GIGLIO. Y es verdade todo esto? Cata che non m'enganni. PASQUELLA. Giglio mio, se non è vero, ch'io non ti possa piú mai vedere. Credi ch'io non abbi cara la tua amicizia? Ma voi spagnuoli non credete in Cristo, non che in altro. GIGLIO. Hora, que non fazite quello que era concertado entra nos?
per ognun tempo ch'elli e` stato, trenta, in sua presunzion, se tal decreto piu` corto per buon prieghi non diventa. Vedi oggimai se tu mi puoi far lieto, revelando a la mia buona Costanza come m'hai visto, e anco esto divieto; che' qui per quei di la` molto s'avanza>>. Purgatorio: Canto IV
ond'elli: <<Or ti conforta; ch'ei convene ch'i' solva il mio dovere anzi ch'i' mova: giustizia vuole e pieta` mi ritene>>. Colui che mai non vide cosa nova produsse esto visibile parlare, novello a noi perche' qui non si trova. Mentr'io mi dilettava di guardare l'imagini di tante umilitadi, e per lo fabbro loro a veder care,
Se qui pace, o salute, i' non discerno Hor son certo che almen lì è un fermo stato che cui vi entra non mor, ma sta in eterno. Se per gratia a tal ben serò arrivato. Hor lasso che in sul marmo esto epygramma Sia scritto, acciò se intendea il dur mio fato Di Noturno è qui il corpo, & l'alma in fiamma Giace appresso Pluton, per donna, ingrata E se penando ben mai non sfiamma.
per ognun tempo ch’elli è stato, trenta, in sua presunzïon, se tal decreto più corto per buon prieghi non diventa. Vedi oggimai se tu mi puoi far lieto, revelando a la mia buona Costanza come m’hai visto, e anco esto divieto; ché qui per quei di l
esto pianeto, o, si` come comparte lo grasso e 'l magro un corpo, cosi` questo nel suo volume cangerebbe carte. Se 'l primo fosse, fora manifesto ne l'eclissi del sol per trasparere lo lume come in altro raro ingesto. Questo non e`: pero` e` da vedere de l'altro; e s'elli avvien ch'io l'altro cassi, falsificato fia lo tuo parere.
D i passo in passo mi volgeva a drieto, E rrando e qua e lá come stordito. S tettesi la malvagia su duo piedi T utta minace in vista e neghittosa. R esto ancor io nel folto d'una macchia, V edendo lei ma non da lei veduto. C essò dunque la vecchia scellerata T ener piú via d'avermi allor nel griffo; O nde, quindi partita, io mi discopro R itornando a veder ov'è Galanta.
Da questa parte con virtu` discende che toglie altrui memoria del peccato; da l'altra d'ogne ben fatto la rende. Quinci Lete`; cosi` da l'altro lato Eunoe` si chiama, e non adopra se quinci e quindi pria non e` gustato: a tutti altri sapori esto e` di sopra. E avvegna ch'assai possa esser sazia la sete tua perch'io piu` non ti scuopra,
darotti un corollario ancor per grazia; ne' credo che 'l mio dir ti sia men caro, se oltre promession teco si spazia. Quelli ch'anticamente poetaro l'eta` de l'oro e suo stato felice, forse in Parnaso esto loco sognaro. Qui fu innocente l'umana radice; qui primavera sempre e ogne frutto; nettare e` questo di che ciascun dice>>.
PASQUELLA. Tírate piú in qua in questo canto, ché la padrona non vegga. GIGLIO. Burlatime otra volta o no? PASQUELLA. Ben sai ch'io ti burlo. Son forse avvezza a burlare, eh? Vero, eh? GIGLIO. Hor dezite presto: que es esto? PASQUELLA. Sai? Quando noi parlavamo insieme, Isabella, la mia padrona, era venuta giú pian piano e stava nascosta accanto a me e sentiva ogni cosa.
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