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Aggiornato: 12 maggio 2025
I ntendo l'occhio a chi la fea gridare: A hi! ch'io la riconobbi, ahi! cruda ed empia L aura maligna, incantatrice e maga, V enefica non men di Circe fiera, P utta sfacciata, vecchia, il cui fetore V olgea gli uomini in bestie, augelli e serpi, S tringendo ai carmi soi l'altrui costumi. F úlica su pel monte ansando scampa, L o qual non piú vedere i' puoti mai.
E ra sul picciol dorso tutta d'oro, D i latte il corpo e leggiadretti piedi, I ntorno al collo un circolo di perle C into l'adorna e fammi esser men grave T utta la doglia che m'assalse, quando I o vidi lei cangiarsi a me davante. L o giorno mai, la notte mai non cesso A ppagarmi di questo sol piacere.
O vunque una sen fugge, e l'altra segue. R atto m'avvento al fondo d'un vallone: E cco vidi Galanta in un instante N on esser piú Galanta, ma curvarsi T utta ritratta, e capo e braccia e gambe, I n una picciol forma di mustella. N on puoti far allora, che non, ratto V òlto in gran fuga e lagrimando forte, S campassi per nascondermi da Laura.
I n quella foggia che vili fasoli G irano, a spessi tomi volteggiando, N el caldaio su fiamme ardenti posto. A llor con quelli insieme canto in gorga T utta tremante: Bacco evoé! I ncomenciando poi cosí dir versi: «Vilemque faselum». VIRG. «... nec non et carmina, vino | ingenium faciente, canunt». OVID.
I l dolo amar che piú sempre si acerba V ien d'alterigia molta e troppo orgoglio; S on bella, come vedi, e mi raccoglio T utta sovente in donna, ma soperba I nalzo lei cosí, che 'n questo scorno N e son rimasta, onde l'alta bontade A ma suppor l'orgoglio ad umiltade. «Fastus inest pulchris sequiturque superbia formam». OVID.
Parola Del Giorno
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