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O h qual mi crebbe ardente e cruda face N el petto allor che gli occhi, anzi due stelle, I o non piú vidi, e 'l raggio lor mi sface! M i sface il raggio lor; e pur senz'elle I' non vivrei giammai, perché non pinse M ai Zeusi un bel volto o 'ntagliò Apelle. E cco, donna, il martír, ch'al cor s'avvinse: R itrassimi da voi, ma non lo volle C olui che 'n me sovente ragion vinse.

S pogliomi nudo in quel fonte lascivo T emprato d'acque nanfe, che da' forni R igando viene giú d'un monticello, O ve Ciprigna gode Adonio bello. Hic pudicitia, hic natura adulteratur. C elavasi, ne l'alpe giunto, il sole. E cco, fra molte ninfe vaghe e snelle L imerno torna solacciando, e quelle L ui van ferendo a bòtte de viole.

L evò la vista, dunque, ove si elice E cco una fiamma ed ove un cieco infante, R accolto l'arco e la saetta, altrice A hi! di quanti martiri, lo diamante T rito mi ruppe al petto e quindi svelse I l cor giá fatto de' sospiri al vento S tridente face e d'acque un fiume lento. O h quante da quell'ora incomenciaro P ene, tormenti, affanni, sdegni ed ire, T ravagli, doglie, angoscie e zelosie!

R amparsi lungo al fusto d'un sambuco E cco la veggio, oh quanto vaga e snella, L eggiadra, pronta, sedula, sagace! I o la richiamo come far solea: G alanta mia, perché mi fuggi, ingrata? I o son il tuo fidele Triperuno: O ve serpendo vai? vieni a me, vieni, N on ti levar da me, ché bona cura I o sempre avrò di te, fin che col tempo S i trovi chi ti renda a l'esser vero.

Cantar vorrei sue lodi, o fresche linfe: linfe fresche di Cirra, or dati bere a chi dicer d'un Febo novo brama! Girolamo sol dico, in cui non spere piú di me affaticar altrui le ninfe, ché piú di me, so bene, altrui non l'ama. H or che per prova, Amor, t'intesi a pieno I n fiamme ove giá n'alsi e 'n ghiaccio n'arsi, E cco mi tieni d'altro dol a freno.

O vunque una sen fugge, e l'altra segue. R atto m'avvento al fondo d'un vallone: E cco vidi Galanta in un instante N on esser piú Galanta, ma curvarsi T utta ritratta, e capo e braccia e gambe, I n una picciol forma di mustella. N on puoti far allora, che non, ratto V òlto in gran fuga e lagrimando forte, S campassi per nascondermi da Laura.

E cco, senza far motto alcun ad elli, T utto soletto quinci mi diparto, «Tu autem quum oraveris intra in cubiculum tuum, ubi, clauso ostio, patrem tuum in abscondito ora». Evang.