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Aggiornato: 30 giugno 2025
Dall'altra parte della montagna, oltre il bosco dei larici. La conosco, Fraida; dico che questo albergo due anni addietro non c'era. È nuovo, dell'altro anno. Superato l'ultimo tratto dell'erta, il cavallo s'arrestò al principio d'un viale piano e diritto. Pareva che l'intelligente animale volesse significare: «È ora di risalire». Lodovico, infatti, riprese il proprio posto, seguito dall'amico.
E avrai più coraggio quest'anno? Oh sì! l'ho giurato; rispose solennemente l'Ariberti. Ho scritto nelle vacanze un migliaio di versi per lei. Sono senza fallo i migliori che ho fatto fin qui. Vuoi sentirne qualcuno? Anzi, mi farai un vero regalo. Te li dico... Ma, di grazia, lascia un pochino il tuo orto botanico.
Tutti color ch’a quel tempo eran ivi da poter arme tra Marte e ’l Batista, eran il quinto di quei ch’or son vivi. Ma la cittadinanza, ch’è or mista di Campi, di Certaldo e di Fegghine, pura vediesi ne l’ultimo artista. Oh quanto fora meglio esser vicine quelle genti ch’io dico, e al Galluzzo e a Trespiano aver vostro confine,
E tu, allorché uscirai di collegio, preparati a dichiararti nemico d'ogni novitá; o il mio viso non lo vedrai sereno unquanco. «Unquanco» dico; e questo solo avverbio ti faccia fede che il vocabolario della Crusca io lo rispetto; comeché io, conciossiaché di piccola levatura uomo io mi sia, a otta a otta mal mio grado pe' triboli fuorviato avere, e per tal convenente io lui, avegna Dio che niente ne fosse, in non calere mettere parere disconsentire non ardisca.
Nel quale si narra di un ballo a Corte e di quello che ne seguì. Quando il tedio s'impadronisce di noi, il miglior rimedio è quello di portarcelo insieme a viaggiare, e quanto più lontano si può, colla speranza che svapori per istrada, o un doganiere ce lo sequestri al confine. E dico colla speranza, perchè veramente il miglior rimedio non è sempre il più sicuro, e in molti casi non giova.
FACIO. Ho buona relazion di voi, vorrei servirmi di voi per avocato.... FACIO....Voi dunque sète Facio? PANURGO. Io son Facio, vi dico; ma, di grazia, parlate piú basso. FACIO. Ch'io parli basso? parlerò tanto alto che m'oda tutto lo mondo. Menti che tu sii Facio, che Facio son io, e tu col farti me, mi togliesti le vesti mie. PANURGO. Saran vostre, se me le pagherete; e voi pigliate errore.
Mo' tuorne a di' vattenne?... Ma ched'è, c'aspiette a quaccheduno? Annetie'!... Vattenne!... Comme! E mm' 'o dice tu? Tu si' ca mme dice chesto? Io faccio 'o duvere mio e ve dico ca Vito Amante se sposa a Cristina... Iesce!... Iesce... Vattenne! Hanno fatto pure 'e carte... E chesto costa a me... E se reverisce, e bonasera! Uh, Madonna mia, nun mme fa ascí pazza! Io nun mme ne fido cchiú!...
E drictamente ella è uno veleno che, come el veleno dá pena nel corpo, e ne l'ultimo ne muore se giá egli non s'argomenta di bomitarlo e di pigliare alcuna medicina, cosí questo scarpione del dilecto del mondo: non le cose temporali in loro, che giá t'ho decto che elle sonno buone e facte da me che so' somma bontá, e però le può usare come gli piace con sancto amore e vero timore; ma dico del veleno della perversa volontá de l'uomo.
Avvertimenti necessari sopra il fare le monete. È da notare che, osservandosi questi ordini, le monete cosí d'oro come d'argento non si farebbono se non una volta sola, e non mai si rifarebbono. E si dovrá osservare che ciascuna sorte di monete corrisponda alla libra in numero con l'ordine giá detto, alla libra dico di Bologna, per le ragioni in piú luoghi del Discorso allegate.
Dimmi, non sei tu il vignarolo? GUGLIELMO. Dico che sono Guglielmo non il vignarolo. PANDOLFO. Anzi tu sei l'uno e l'altro, il vignarolo e Guglielmo, cioè il vignarolo mascherato in Guglielmo. GUGLIELMO. Io non son altro che Guglielmo, e non è or carnevale che vada in maschera. Non ho altra maschera di quella che mi fece la natura.
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