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Di questi infelici, ne conobbi, intimamente, due. Ora l'uno e ora l'altro mi raccontavano la loro paura di morire. Avevano una grande speranza nella clemenza di Vittorio Emanuele. E io li aiutavo a nutrirla. I loro nomi erano Alfonso Minetti e Carmine De Vito. Il primo aveva accoltellato il padrone a morte, e il secondo aveva fatto a pezzi una donna con la scure.

La difesa del Reggente trionfa: il Principe è condannato «a soddisfare il debito contenuto nella polizza di cui trattasi»; e la sentenza vien fatta di pubblica ragione²¹⁰. ²¹⁰ Ecco il titolo di questo documento, che dobbiamo alla gentilezza del cav. Vito Beltrani: Memoria presentata al Magistrato del Commercio dall’Avv. fisc. del R. Patrimonio March.

Il zu Vito scendeva le scale lentamente, con le mani dietro la schiena, ruminando nell'anima nera pessimi disegni, quando incontrò la cameriera che veniva dalla cucina col caffè caldo, per servirlo al padrone che soleva prenderlo a quell'ora.

Compare Gaspare, compare Turiddo, compare Deco, e compare Vito, eran quattro birboni matricolati, che nella loro gioventù se n'erano infischiati davvero dei dieci comandamenti di Dio, specie dei due che proibiscono d'ammazzare e di svaliggiare il prossimo, E però certi screzi tra quelle lane e la giustizia che li aveva agguantati diverse volte, e mandati l

Una mattina che eravamo al passeggio e parlavamo appunto della grazia sovrana, venne una guardia a chiamare il De Vito. Ti vuole il signor direttore. Supponevamo che fosse stato chiamato per la comunicazione della grazia. Ritornò la guardia senza il De Vito a chiamare il Minetti. Ti vuole il signor direttore. Non vidi più l'uno l'altro.

I ricordi dell’ardimentoso Spalacchiata, corsaro trapanese della galeotta del Principe di Furnari contro i Turchi, eran sempre vivi; ma vivi eran del pari quelli delle dieci prede del rinnegato Vito Scardino, trapanese pur esso, che con ferocia inaudita e crescente a danno dei Siciliani corseggiava pei nostri mari.

Il zu Vito Sala, suo figlio Brasi, Bartolomeo Lalla il socio, s'eran messi in giro: e bisbigliavano or con questo or con quello, alla cantonata d'un vicolo, sotto la tettoia della piazza, nelle vicinanze d'una taverna, nel vano della porta laterale della chiesa, nello stradone fuori del paese.

Vuo' a Vito, vuo'?!... 'E tu te cride ca na femmena comme a te se po' pigliá a nu figlio 'e mamma comme a chillo? Chesto nun ll'avarissive dicere vuie! Vito Amante nun se sposa a na mala femmena! Zi'! Zi'!... Mo mm' 'o dicite n'ata vota? T' 'o dico n'ata vota, ! E si vuo' fa buono, vattenne! Stateve bona...

E fattosi serio a un tratto, restò con la testa un po' inchinata sulla spalla, in atto di chi ascolti col più vivo interesse e con la massima attenzione. Il zu Vito si carezzò la bocca, poi gli raccontò come s'eran passate le cose tra lui e Striati, e lo pregò che volesse andar da quest'ultimo, a fargli intendere ragione. Sicuro.... principiò il notaro tutto indignato. Ma l'altro l'interruppe.

Crivellò di coltellate un povero diavolo padre di famiglia, perchè gli aveva fatto una testimonianza contraria in una causa per un limite divisorio, e fu giustiziato. La carcere e gli avvocati si mangiarono l'unico fondo che possedevano: Masi era in galera: Vito a' Ficarazzi; Menico aveva messo su casa da ; la povera vedova e Peppe restarono soli tra gli stenti.