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CAPITANO. Un tuo pari tôrsela meco, ah? Che stimi tu ch'io fugga le questioni? corro io piú volentieri alle coltellate che un tedesco invitato al bere; si allegra cosí il chirurgo delle ferite come io di farle: e io do di vivere a tutti, ché se non fusse per me si morirebbono di fame. Turberei la face di Ottavian per far questione.

E la illusione teatrale noi sappiamo essere la illusione di tutte le illusioni, la magia per eccellenza; da che come due e due fanno quattro, cosí anche, ad onta della veritá, è provato che dallo alzarsi fino al calar del sipario lo spettatore si dimentica affatto di ogni sua occorrenza domestica, non sa piú d'esser in teatro, giura ch'egli manda occhiate proprio nel Ceramico e nel Partenone, e crede vere proprio le coltellate che si dánno gli eroi sul palco e vero sangue quello che gronda dalle loro ferite.

O come? dimandò l'Architetto. Mastro Nicola ci tiene il sacco! Non egli, che è in villa, ma il suo figliuolo. Io non so nulla e non ho cercato di saper nulla; ma mi sembra di avere indovinato che questo giovanotto l'abbia a morte con un suo pigionale, certo Salvini, Salvetti o che so io, e lo voglia colle nostre mani, vestire da angelo.... mi capite? fargliene una da coltellate.

Costui, che chiamavasi Franzino Malcolzato, erasi acquistato pel paese un tristo nome di fastidioso e manesco, a molti appoggiando e pugni e brave coltellate, ora per conto suo proprio, ora per l'altrui, finchè fu tolto al servizio del Pusterla.

Per sant'Jago di Compostella, lo mangerei dai baci. Alla larga, dunque, e paghiamo lo scotto; disse il capitano, ridendo di cuore. Perchè, vedete, padrona? com'è vero che il mozzo Bonito è mia moglie, e si chiama la contessa di Lavagna, voi potreste essere sotto spoglie femminili un bel garzone invaghito di lei, e si dovrebbe far qui alle coltellate.

Cinque coltellate, più, meno. La donna si lamentava, si guardava intorno smarrita, mormorando: Sant'Anna mia! Ve faccio nu voto!... Scanzateme!... Uh! Uh!... Chiano, chiano!... Veniva da Piazza Francese, da una delle due suburre napolitane. Aveva denti e capelli splendidi, una mano piccolissima. Gli occhi grandi, azzurri, pieni di lacrime, lucevano. Si chiamava Serafina.

Crivellò di coltellate un povero diavolo padre di famiglia, perchè gli aveva fatto una testimonianza contraria in una causa per un limite divisorio, e fu giustiziato. La carcere e gli avvocati si mangiarono l'unico fondo che possedevano: Masi era in galera: Vito a' Ficarazzi; Menico aveva messo su casa da ; la povera vedova e Peppe restarono soli tra gli stenti.

Birri, carabinieri, zuavi, dragoni, in un fascio, colpiti da tegole, stoviglie e arnesi gettati dalle finestre popolane, dalle coltellate del popolo e da alcune poche carabine e fucili, precipitavano la loro fuga nella Lungara verso Ponte S. Angelo e vi furono spinti persino oltre il ponte.

Uno dice: Tu hai visto. L'altro risponde: Che! E tu? Neppure. Che si dice? Che l'hanno ammazzato. Che sia morto? Per bacco! dieci coltellate. Tredici.... L'hai contate? Ohibò! E gi

Sono considerati dei rognosi e presi a pugni e spesso a coltellate. Dove è uno di loro, l'ergastolano o il recluso o il detenuto non è più tranquillo. La sua vita rimane un tormento spasmodico fino alla sua scomparsa. Chi l'uccide diventa un eroe ed ha l'applauso generale, perfino, spesso, dei secondini che disprezzano le spie.