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GULONE. Son pigro, secondo il tuo desiderio; ma presto, secondo il mio: a chi desia non si fa cosa con tanta prestezza, che non paia tarda. Dice che, volendola senza dote, venghi a sposarla. TRASIMACO. Ti ringrazio della nuova. GULONE. Che pensi col ringraziamento avermi pagato, come se m'entrasse in corpo e me cavasse la fame e la sete? Troppa ingiuria fai tu al mio ventre.

Le st. 47 e 48 non si leggono nell'Amed. minore. Amed. magg. st. 63 marran; in questo dir sdegno e furore. ......min. Protervo; in questo dir sdegno e furore. Amed. magg. st. ult. L'antica genitrice il si disia. ......min. st. ult. L'antica genitrice il si desia. Il canto III. nell'Amed. magg. ha st. 68: nella min. st. 61. Argomento del Peschiulli al canto III dell'Amedeide minore.

Una schiera poi di giovinetti, con vesti a vita e a striscie bianche e rosse e berretti piumati, incominciò su quei suoni a modulare questa graziosa canzone. Era di Guido Cavalcanti, e diceva così: Ben venga maggio E il gonfalon selvaggio! E a me consenta Amore Di primavera mia Goder l’almo colore, Goder la leggiadria Quanto l’occhio il desia, Quanto più splende il maggio.

Iniqui voti intanto fare a tua posta puoi; spera, desia; giá giá si appressa anco il tuo . SENECA Lo aspetto. NER. E tu, fia questo il tuo trionfo estremo, godine pur; che breve... OTTAV. Il , ma tardo, anco verrá, che Ottavia a te fia nota. POPPEA Dimmi, o Nerone: al fianco tuo m'hai posto sul trono tu, perch'io bersaglio fossi alla insolenza del tuo popol vile?

APOLLIONE. Ogniun crede facilmente quel che desia: il desiderio immenso di trovar mio fratello me lo fe' subito credere. PANURGO. Deh, Apollione mio caro, non mi raffiguri tu ancora? ha potuto tanto l'assenza ch'abbi posto in oblio la mia conoscenza? GERASTO. Oh, vedete come piange, vedete che lagrime spesse! NARTICOFORO. Se fusse donna, non arebbe cosí le lagrime a sua posta.

MARTEBELLONIO. Io so molto ben che la poverella si deve strugger per me, ché n'ho fatto strugger dell'altre. Ma io vorrei venir presto alle strette. LECCARDO. Ella desia che fusse stato; e se voi mi pascete ben questa sera, io vi recarò buone novelle e vi do la mia fede. MARTEBELLONIO. Guardati, non mi toccar la mano, ché se venisse, stringendo te ne farei polvere, ché stringe piú d'una tanaglia.

Perché non poss'io tante parole formar col pianto o, co' sospiri ardenti, dar tanto di valore a questi venti che al cielo ancor de l'acerbe mie pene giunga pietade? Ché giá qui mi pare ch'ogni cosa mortal meco s'attristi, meco pianga e sospiri e mostri in vista di compassion sembiante; se non quella che sol desia vedere in mezzo agli anni quest'alma spenta.

TEODOSIO. Non si fa altro. Voi mi scalzate le scarpe. FILASTORGO. Perdonatemi, ché «ad un che desia, ogni prestezza è tarda». MASTICA. Mi ha giovato lo star qui intorno, perché ho inteso che costoro sono d'accordo e la cosa è riuscita a miglior fine che non pensava. Dunque io serò il primo che porterò la nuova a Sennia e per mancia ritornerò all'ufficio della cucina. O Sennia padrona, o padrona!

PARDO. Pedolitro, nostro cittadino, venuto ora di Constantinopoli, che ci andò quattro anni sono per riscuoter cotesto suo figlio; e mi ha recato lettera di mano di mia moglie che desia venire, e che di Cleria non si sa novella, molti anni sono.

MITIETO. Voi sapete ch'ogni padre desia vedere i nepoti, e massime chi è padre di un solo. CINTIA. Non vedrá mai mio padre, dandomi moglie, da me generar figliuoli. MITIETO. Che sète forse ammalato?