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Aggiornato: 25 giugno 2025
E anco t'ho decta la doctrina e il principale fondamento che tu debbi dare a coloro che venissero a te per consiglio e che volessero escire delle tenebre del peccato mortale e seguitare la via delle virtú: cioè che tu lo' dia per principio e fondamento l'affecto e l'amore delle virtú nel cognoscimento di loro e della mia bontá in loro; e ucidano e annieghino la loro propria volontá, acciò che in neuna cosa ribellino a me.
Io m'ero scordata di domandarti se Lelia è qui in casa tua; ché Gherardo gli ha detto di sí. CLEMENZIA. Ben sai che la v'è. Vuol forse maritarla a quel vecchio messer Fantasima di tuo padrone? che si doverebbe vergognare. PASQUELLA. Tu non conosci bene il mio padrone: ché, se tu sapesse come gli è fiero, non diresti cosí, eh! CLEMENZIA. Sí, sí; credotelo: tu 'l debbi aver provato.
Repetizione in somma de le predecte cose, con una agiunta sopra la reprensione del proximo. Ora t'ho decto, carissima figliuola, satisfacendo al desiderio tuo e dichiaratati di quello che mi dimandasti, cioè in che modo tu debbi riprendere il proximo tuo, acciò che tu non sia ingannata dal dimonio né dal tuo basso vedere.
E quando, seguitando la tua via, non faccia conto de le mie parole, se ben sei un furfante, un sciagurato, farem che tu cognosca l'error tuo in qualche modo. E la cagion di questo, essendo un ladroncello come sei, meglio di me lo debbi saper tu, con questi tuoi; ché volevate insieme menarmi via. FILOCRATE. Che dici, Lúcia cara? Odi. Hoti fatto forse dispiacere a venir qua?
Quando non mi intendi, talor, non ti curar; ché ora non puoi esser tanto capace. PILASTRINO. Orsú! Incomincia. LISTAGIRO. Prima, per quello che si può vedere, hai una vita lunga piú che n'abbi altra visto giá mai. Viverai tanto che, per vecchiezza, debbi andar carpone per terra con le mani e verrai sordo, orbo ed attratto: ma v'è tempo ancora piú d'ottant'anni. GIRIFALCO. Oh!
ARTEMONA. E, per ventura, debbi veder tutti quegli animali, aspiti, bisce, tarantole e serpi, come se fossi in banco. PILASTRINO. Bene spesso. M'agghiaccio, poi, e m'affreddo e mi risolvo come la neve al foco e al vento nebbia, s'io sto, l'inverno, che non magni sempre e mi scaldi col vino. ARTEMONA. Siam piú d'uno.
El modo suo è questo: che, se giá Io expressamente, non pure una volta né due ma piú, non manifestasse el difecto del proximo tuo nella mente tua, non il debbi mai dire in particulare, cioè a colui in cui ti paresse vedere il difecto; ma debbi in comune correggere i vizi di chi ti venisse a visitare, e piantare la virtú caritativamente e con benignitá, e nella benignitá l'asprezza, quando vedi che bisogni.
PANIMBOLO. Io ho recette esperimentate per le tue infirmitá. LECCARDO. Dimmele, per amor de Dio! PANIMBOLO. Al gorguzale ci faremo una lavanda di lacrima e di vin greco molte volte il giorno. LECCARDO. Oh, bene! ho per fermo che tu debbi essere figlio di qualche medico. E se non guarisce alla prima? PANIMBOLO. Reiterar la ricetta. LECCARDO. Almeno per una settimana! Che faremo per li denti?
T'ho aspettato in su questo uscio piú d'una mezza ora, per veder se tu ci passavi; ché 'l mio padrone non era in casa e aremmo avuto tempo di stare insieme un pezzo. GIGLIO. Rencrescime, per Dios, che ho tenuto que fazer. Mas entriamo. PASQUELLA. Ho paura che 'l padron non torni, ché ha un pezzo che andò fuora. Ma tu ti debbi esser scordata la corona, eh? GIGLIO. Non, madonna; que á qui sta.
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