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Aggiornato: 8 ottobre 2025
Ma noi misere e poverelle abbiamo carestia d'acqua per lavarci la faccia: triste noi se non ci aiutasse la natura! LECCARDO. Veramente come una donna si parte da un buon naturale e il piglia artificiale, non può parer bella. Ma tu m'hai fatto risentir tutto: ti vorrei cercare un piacere. CHIARETTA. Che piacere? LECCARDO. Che mi presti una cosa. CHIARETTA. Che cosa?
Non c'era che dire, i suoi difetti egli li aveva pur troppo, e la contessa Chiaretta, altrettanto energica nel linguaggio quanto fiacca e nulla nell'azione, ammetteva lei per la prima che Leonardo era uno scioperato, un vizioso, un uomo ch'ella non si stupirebbe di veder finire sul patibolo, ma, alla stretta dei conti, di chi era la colpa? Dei carbonari, dei frammassoni e dei loro acoliti.
Sfido io.... Nemmen per sogno. O che si licenzi il cuoco? Ma chi dice questo? O che io mandi a spasso la cameriera? Ma no, ma no. O che rinunzi al palco alla Fenice? Nemmen per idea. O che mi vesta come una serva? Via, Chiaretta, nessuno pretende una roba simile. Che cosa si pretende adunque? Che si dia il benservito al precettore di Leonardo, e che si mandi il ragazzo alla scuola pubblica?
Egli era proprio insopportabile, e la zia Chiaretta aveva ragione a definirlo con una parola che per lei esprimeva la quintessenza d'ogni nequizia: È un carbonaro. Vediamo ora di far più stretta conoscenza col contino Leonardo Bollati, unico rampollo maschio della famiglia, unico erede d'un nome illustre negli annali della Serenissima.
E come le batteva il cuore, allorchè, nel far lo scalone, sentiva i passi di Leonardo che, aspettandola, misurava in lungo e in largo la sala! Sia ringraziato il cielo diceva la contessa Chiaretta. Se Leonardo non ha compagnia non ist
Ma s'apre la porta e veggio il parasito che viene per ritrovarmi: perdonatemi. LECCARDO. Entrate, signora, in questa camera qui vicino. CHIARETTA. T'obedisco. LECCARDO. Serratevi dentro e aspettatemi un pochetto. Capitano, sète voi? MARTEBELLONIO. Pezzo d'asino, non mi conosci?
DON FLAMINIO. In che cosa mi serverai e in che modo? LECCARDO. Del modo non posso deliberare se non parlo prima con Chiaretta, ch'ella tien le chiavi delle sue casse. È gran tempo ch'ella cerca far l'amor con me. DON FLAMINIO. Bisogna far l'amor con lei e dargli sodisfazione. LECCARDO. Piú tosto m'appiccherei.
CHIARETTA. Il malan che Dio ti dia! non vòi altro di questo? LECCARDO. E che pensavi? qualche cosa trista? CHIARETTA. Che vuoi farne? LECCARDO. Vestirla a te. E alcuna di quelle cose che l'ha mandato don Ignazio, o di quelle che portò quel giorno della festa; ché s'ella si vuole sposar dimani, noi ci sposaremo questa notte. Tu sarai Carizia, io don Ignazio. CHIARETTA. Tu mi burli.
Durante queste peripezie dei loro nobili congiunti, i Rialdi stavano sempre nell'ombra. Nessuno si curava di loro, nessuno chiedeva il loro parere; tutt'al più la querula contessa Chiaretta ripeteva alla cugina Zanze e alla Fortunata gli sproloqui ch'essa soleva fare due volte al giorno con don Luigi. Erano variazioni su un unico motivo.
Mentre che il conte Zaccaria faceva da cicerone agl'illustri forestieri e il marchese genero gli serviva da interprete, gli altri invitati si pigiavano nel salotto degli arazzi intorno alla languida contessa Chiaretta, o, prudentemente, prendevano il loro posto sul poggiuolo o davanti a qualche finestra per goder meglio dello spettacolo.
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