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La signora Chiaretta, donna ordinariamente molto fredda ed apatica, fu punta sul vivo dalle considerazioni del marito, e gli rispose per le rime.

Di quella non si parla interruppe la contessa Chiaretta non è neanche nobile. Il conte sospirò pensando che la Vinati avrebbe portato in casa cinquecentomila lire sonanti. Pazienza. C'era di mezzo il decoro della famiglia, e conveniva rinunziarci. Ma io non voglio saperne nemmeno delle tedesche di mio cognato seguitò Leonardo.

In quanto al N. H. Zaccaria e alla sua illustrissima consorte, essi non eran gente da scomodarsi per piccola cagione, e anzi la contessa Chiaretta aveva detto a Leonardo e a Fortunata: Ohe tosi, io non istò mica a farvi la guardia; mettete pure a soqquadro la casa; a me basta che non mi facciate il chiasso vicino.

DON IGNAZIO giovane innamorato SIMBOLO suo camariero DON FLAMINIO giovane suo fratello PANIMBOLO suo camariero LECCARDO parasito MARTEBELLONIO capitano ANGIOLA vecchia CARIZIA giovane EUFRANONE vecchio POLISSENA sua moglie CHIARETTA fantesca AVANZINO servo Birri DON RODERIGO viceré della provincia. Il luogo dove si rappresenta la favola è Salerno. DON IGNAZIO giovane, SIMBOLO suo cameriero.

CHIARETTA. S'io facessi innamorar i sassi, starei sicura che farei innamorar te che sei peggio d'un sasso. LECCARDO. Son risoluto esser tuo innamorato. CHIARETTA. Che ti ho ciera di vitella o di porca, che ti vòi innamorar di me? LECCARDO. T'apponesti.

Per più settimane il nostro giovinotto fu in gran burrasca, e in tutto questo tempo don Luigi dovette consacrarsi interamente alla lustrissima Chiaretta e assisterla nelle sue pratiche religiose o apparecchiarla con esempi della Sacra Scrittura a sopportar con animo forte la prova che pareva esserle serbata dal Signore.

CHIARETTA. Buon can per certo, che, per aver avuto tutta notte la caccia tra' piedi, è stato sonnacchioso che non ha voluto mai alzar la testa in drizzarsi alla via per seguitarla. MARTEBELLONIO. Il mio can ha piú cervello che non ho io, che conosce all'odor la fiera, ché per stuzzicarlo per sferzarlo si volse mai spinger innanzi.

La famiglia Bollati decise di rimanere in campagna finchè fosse allestito alla meglio il secondo piano del palazzo. Con altre parole, si rinunziava a tornare a Venezia prima del San Martino di quell'anno 1845. Quei sette mesi di villeggiatura forzata invecchiarono la contessa Chiaretta di sette anni. Sempre chiusa fra quattro muri, sempre al buio, ella non faceva che lamentarsi da mattina a sera. Rimpiangeva il suo salottino di citt

CHIARETTA. Altro che tovaglia bianca ci vuol a tavola, altro che vesti ci vuole a far bella una donna: gli innamorati non amano le vesti ma quello che sta sotto le vesti. Bisogna aver buone carni, sode, grasse e lisce, come abbiamo noi fantesche che sempre fatichiamo; le gentildonne, che sempre stanno a spasso, l'hanno cosí flaccide e molli che paiono vessiche sgonfiate.

Mi pare, disse il conte Zaccaria, quando l'agente generale s'accommiatò, mi pare che sior Bortolo alzi la cresta. Pare anche a me, rispose la contessa Chiaretta. Il fatto si è che sior Bortolo aveva ormai messo da parte un bel gruzzolo di quattrini e si curava assai meno del favore delle Loro Eccellenze.