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Aggiornato: 12 giugno 2025


Dopo mezz'ora di cammino, incontrammo un altro drappello, colla bandiera rossa, comandato pure da un vecchio caid, che s'unì al primo; e via via, andando innanzi, altri gruppi di quattro, otto, quindici cavalieri, ognuno colla bandiera, che vennero tutti a ingrossare la scorta. Quando la scorta fu completa, cominciarono le solite cariche.

Sono quei Rifani, berberi di razza, che non hanno altra legge che il loro fucile, che non riconoscono caid magistrato; i pirati audaci, i banditi sanguinarii, i ribelli eterni che popolano le montagne della costa da Tetuan alla frontiera algerina; che non riuscirono a domare i cannoni dei vascelli europei gli eserciti del Sultano; gli abitanti, in fine, di quel Rif famoso, dove nessun straniero può mettere piede che sotto la salvaguardia dei santi e dei sceicchi; a cui si riferiscono ogni sorta di leggende paurose; e i popoli vicini ne parlano vagamente come d'un paese lontano e inaccessibile.

I cavalieri della scorta avevano il cappuccio sul capo e i fucili fasciati; tutti noi eravamo ravvolti nei pastrani e nei mantelli; ci pareva d'essere in autunno, in mezzo a una pianura dei Paesi Bassi. Dietro a me non vedevo distintamente che il turbante bianco e la cappa turchina del Caid; tutti gli altri erano ombre confuse che si perdevano nell'aria grigia.

Veniva verso di noi un ragazzo di sedici o diciott'anni, arabo, mezzo nudo, che mandava innanzi, con un grosso bastone, due buoi recalcitranti. Il caid Abù-ben-Gileli arrestò il cavallo, e lo chiamò. Si seppe dopo che quel ragazzo doveva andare ad attaccare i due buoi al carro che avevamo visto poco prima, ed era in ritardo di qualche ora. Il poveretto, tutto tremante, si presentò al caid.

Rimandarono la decisione alla mattina e si separarono. Un'ora dopo, il caid ed Alì riposavano ciascuno sotto la sua tenda; la notte era oscurissima, non spirava un alito di vento, non stormiva una foglia, non si sentiva che il mormorio del fiume e il respiro dei dormenti. All'improvviso una voce formidabile urlò nel silenzio della notte: Arusi ti saluta, o sceicco Sid Mohammed Abd-el Dijebar!

La ragione era questa: il caid della cittadella El-Mamora era in quel tempo l'antico sceicco Sid-Mohammed Abd-el-Dijebar che aveva messo Arusi nelle mani del generale del Sultano.

Questo gli fece non so che domande, a cui il ragazzo rispose balbettando e facendosi smorto come un cadavere. Allora il caid si voltò verso i soldati e disse freddamente: Cinquanta bastonate. Tre robusti soldati saltarono giù da cavallo.

Ciò fatto, mise sei soldati a custodirlo e si ritirò sotto un'altra tenda insieme col caid, per concertare che torture gli dovessero infliggere prima di troncargli la testa. La discussione durò lungo tempo: andavano a gara a chi proponesse dei tormenti più dolorosi; nessuno strazio pareva abbastanza orrendo; la sera era venuta, e non avevano ancora nulla deciso.

Cavalli, soldati, parenti, amici, chi stramazza morto, chi vacilla ferito, chi fugge; e prima che il caid e Sid-Alì, rimasti illesi, rinvengano dallo sbalordimento, un uomo, una furia, un demonio, Arusi insomma precipita dalla collina, afferra Rahmana, se la mette in sella e fugge a briglia sciolta verso la foresta di Mamora.

Ho capito, rispose l'Ambasciatore; non parliamone più. Tutti i nostri volti presero un leggero color verde. Finito il pranzo, l'Ambasciatore rimase a discorrere col Gran Vizir, e noi uscimmo dalla sala. Era buio e piovigginava. Nell'altra sala, in fondo al cortile, illuminata da una torcia, desinavano, seduti sul pavimento, il nostro caid, i suoi ufficiali e i segretari del Gran Vizir.

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