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Aggiornato: 24 luglio 2025


APOLLIONE. Veramente or ti raffiguro, fratello: perdonami se prima non son venuto a far il debito ufficio ch'io doveva. GERASTO. Férmati, ché tu proprio desii d'essere ingannato.

APOLLIONE. Amici, mi ha dati certi segni che non può saperli altri che lui. GERASTO. Sappiate che tiene le spie per tutte l'osterie, per star informato de' fatti di ciascuno e persuadergli quello che vuole. PANURGO. Ed è possibile, Apollione mio, fratello, che vogli prestar piú fede a costoro che all'istessa veritade?

Vi vo' prestare il mio nome di Carisio per un anno, per quattro e dieci, e non ne vo' cosa alcuna che me ne abbiate pur un minimo obligo. NARTICOFORO. Certo che sète uomo frugi e di molta comitate: d'oggi innanzi vi vo' per ero e per amico. APOLLIONE. Vengasi di grazia all'altra ingiuria che avete ricevuta.

GERASTO. Ditemi, di grazia, il vero ché confidando nella bontá, che mi par conoscere nell'aria vostra, voglio crederlo, di che qualitá è questa vostra nipote? APOLLIONE. Se ben l'uomo deve sempre dir il vero, mi par pur gran sfacciataggine dir una bugia che potrá esser facilmente scoverta, essendo qui infiniti gentiluomini genovesi che ve ne potranno chiarire.

APOLLIONE. Tu dunque sei Carisio mio fratello? o che dolcezza è questa! sogno io o vaneggio? GERASTO. Ah, ah, ah! NARTICOFORO. Ah, ah, ah! certo che sogni e vaneggi. APOLLIONE. Per che cagione? GERASTO. Questi che voi non conoscete, si trasforma in qualunque uomo ei vede: per uscir dall'intrigo dove adesso si ritrova, subito s'ha finto tuo fratello.

APOLLIONE. Questi è veramente mio fratello; fu tanta la pena che ho sentito in questa sua assenza, che non sia maggior la gioia che adesso ho che lo riveggo. Gerasto, padron caro, costui è padre di chi sta in casa vostra. GERASTO. Talché ugualmente e dal padre e dal figliuolo son stato assassinato? PANURGO. E può esser che io sia stato ruffiano a mio figlio?

NEPITA fantesca ESSANDRO giovane, sotto abito e nome di Fioretta fantesca CLERIA giovane innamorata GERASTO vecchio PANURGO servo di Essandro FACIO dottor di legge ALESSIO giovane PELAMATTI servo SANTINA moglie di Gerasto MORFEO parasito GRANCHIO servo di Narticoforo NARTICOFORO pedante Speciale Capitan DANTE spagnuolo Capitan PANTALEONE spagnuolo APOLLIONE vecchio TOFANO servo.

APOLLIONE. Ogniun crede facilmente quel che desia: il desiderio immenso di trovar mio fratello me lo fe' subito credere. PANURGO. Deh, Apollione mio caro, non mi raffiguri tu ancora? ha potuto tanto l'assenza ch'abbi posto in oblio la mia conoscenza? GERASTO. Oh, vedete come piange, vedete che lagrime spesse! NARTICOFORO. Se fusse donna, non arebbe cosí le lagrime a sua posta.

Fuggendo di Roma di casa di mio zio Apollione che, per non esser ito alla scuola, promise battermi, me ne venni qui in Napoli dove, appena giunto, Amor mostrandomi Cleria, la tua figliana, al suo primo apparir ricevei con tanta forza le sue divine bellezze nel cuore, che altro contento non arei potuto desiar in questa vita che vedermi sazi pur una volta gli occhi di mirarla.

Ma perché trattengo me stesso? O mia Fioretta, o mio giardino vergine, ecco che vengo a còrre cosí bel fiore. APOLLIONE solo.

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