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Seguirono ancora cinque o sei mosse d'apertura; i due giuocatori si esploravano l'un l'altro come due eserciti che stanno per attaccarsi, come due boxeurs che si squadrano prima della lotta. L'Americano, abituato alle vittorie, non temeva menomamente il suo antagonista; sapeva inoltre quanto l'intelletto d'un negro, per educato che fosse, poteva fievolmente competere con quello d'un bianco e tanto meno con Giorgio Anderssen, col vincitore dei vincitori. Pure non perdeva di vista il minimo segno del nemico; una certa inquietudine lo costringeva a studiarlo e, senza parere, lo andava spiando più sulla faccia che sulla scacchiera. Egli aveva capito fin dal principio che le mosse del negro erano illogiche, fiacche, confuse; ma aveva anche veduto che il suo sguardo e gli atteggiamenti della sua fronte erano profondi. L'occhio del bianco guardava il volto del negro, l'occhio del negro era immerso nella scacchiera. Non avevano giuocato in tutto che sette od otto mosse e gi

Intanto permettete ch'io vi stringa la mano, riprese l'altro; mi chiamo sir Giorgio Anderssen. Posso offrirvi un'avana? Grazie, no; il fumo mi fa male. Allora l'americano, gettando lo zigaro che teneva fra le labbra, tornò a dimandare: Posso proporvi una partita al bigliardo? Non conosco quel giuoco; vi ringrazio, signore. Posso proporvi una partita agli scacchi?

Anderssen rivide in quest'uomo disteso a terra l'alfiere nero che lo aveva vinto. Tom agonizzando pronunciò queste parole: Gall-Ruck è salvo... Dio protegge i negri... e morì. Due ore dopo il cameriere che entrò nella sala per dar ordine ai mobili, trovò il cadavere del negro per terra e lo scaccomatto sul tavolo. Giorgio Anderssen era fuggito.

Tom contemplava estatico la sua vittoria. Giorgio Anderssen spiccò un salto, corse al bersaglio, afferrò la pistola, sparò. Nello stesso momento Tom cadde per terra. La palla l'aveva colpito alla testa, un filo di sangue gli scorreva sul volto nero, e colando giù per la guancia, gli tingeva di rosso la gola ed il collo.

V'hanno degli entomati che non sanno due volte tessersi la larva, dei pensatori che non sanno rifar da capo un concetto, dei guerrieri che non sanno ricominciar la pugna: Anderssen pensava ciò intorno al suo antagonista.

L'alfiere schivava obliquamente con degli slanci da pantera la sua formidabile persecutrice; Anderssen seguiva perplesso la corsa furibonda dell'alfiere spingendo sempre più avanti il suo pezzo e rinserrando il pezzo nemico verso un angolo della scacchiera.

Erano le cinque del mattino. Spuntava l'alba. La faccia del negro brillava d'uno splendore di giubilo. Anderssen, nella foga della caccia al pezzo fatale, aveva dimenticato la pedina nera che stava sulla penultima casa dei bianchi alla sua destra. Quella pedina era l

Il Tribunale lo assolse, prima perché l'assassinato non era che un negro e perché non poteva sussistere l'accusa di omicidio premeditato; poi perché il celebre Giorgio Anderssen si era denunciato da , infine perché si era scoperto nelle indagini giudiziarie che il negro ucciso era fratello di un certo Gall-Ruck che aveva fomentata l'ultima sollevazione di schiavi nelle colonie inglesi, quel Gall-Ruck che fu sempre inseguito e non si potè mai trovare.

Anderssen, abbagliato dalle evoluzioni fantastiche dell'alfier nero, continuava ancora ad inseguirlo, a rinserrarlo, a soffocarlo. A un tratto lo colse! lo afferrò, lo sbalzò dalla scacchiera assieme agli altri pezzi guadagnati e guardò in faccia con piglio trionfante la sconfitta nemica.

Anderssen rientrò nelle sue terre col rimorso nel cuore non alleggerito dalla più tenue condanna. Dopo la catastrofe che raccontammo giuocò ancora a scacchi, ma non vinse più. Quando si accingeva a giuocare, l'alfier nero si mutava in fantasma. Tom era sulla scacchiera! Anderssen perdé al giuoco degli scacchi tutte le ricchezze che con quel giuoco aveva guadagnate.