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Marfisa rispondeva: Mio signore, dove tengono il tosco, io so, le bisce; però non cominciate a fare il matto, ch'io so come si lacera un contratto. Non mi diceste un giorno: A me fia grato tutto quel ch'è piacer vostro, illustrissima? Terigi, tra balordo e disperato, fece una riverenza profondissima.

Quattordici porzion nel patrimonio voleano di Terigi i villanzoni, ed hanno un avvocato, ch'è dimonio e molto ben contesta le ragioni. Terigi s'accomanda a sant'Antonio per assistenza e carte e testimoni; ed ogni volta ch'uno all'uscio picchia, teme una citazione e si rannicchia. Don Gualtier cappellan lo confortava, e dice: Io me ne intendo di litigi.

Di Filinor Terigi è in gelosia. Questo mi basta. Io t'ho inteso. Va' via. Gano levossi, e: Il ciel vi benedica, vi lascio con la grazia del Signore disse partendo. Or converrá ch'io dica del marchese Terigi senza core, che tra il martello e l'amor per l'amica se gli era liquefatto in un favore. Dopo la notte della ricreazione era smagrato trenta libbre buone.

A tutte l'altre spose nel vestire quel di Marfisa diede scaccorocco; e il portar della maschera e il gestire, tutto diceva ai cor: Guarda, ch'io scocco. Si rise sol, veggendo comparire Terigi che pareva un anitrocco; e benché avesse addosso un gran tesoro, non sapeva portarlo con decoro.

Gesú Maria! don Gualtier, giá si vede ch'io non so quel che fo quel che dico. Pregato, il prete gli tornava amico. Cosí traendo il sangue al meschinello, ragion non gli rendeva mai del speso, dicendo: Anzi n'aggiunse il mio borsello, siccome un giorno il conto v'avrò reso. Terigi era per perdere il cervello; spesso da ragiona e sta sospeso.

Allega delle matte piú di venti in tua difesa, alfin poco t'onori disse Ermellina, ch'anche i disperati dicon: Non sarem soli in fra i dannati. Orsú, tu déi lasciar cotesta vita e devi Filinoro abbandonare. Pónti in contegno, ed a Terigi unita voglio vederti e il filo rappiccare. La giovinezza fugge, e quando è gita, sai che non suole addietro ritornare.

Il parlamento ebbe una gran baldanza a non darmi il sigillo dell'impero diceva; per sua parte n'ho vergogna e gliene incaco e peggio, se bisogna. Marfisa a' paladini aveva detto «assassini» e «briccon» con insolenza, che non aveano Filinoro eletto: gli discacciava dalla sua presenza. Veniva il buon Terigi, poveretto; ma lo trattava con indifferenza.

V'era in quel tempo un uom ricco a Parigi, che un giorno fu lo scudiere d'Orlando, come si legge, chiamato Terigi, ch'era pel mondo andato assai girando, quando s'usava, seguendo i vestigi del conte, che gran re venía ammazzando, e duchi e cavalieri carchi di perle ed oro e gemme a gran costo d'averle.

Terigi alla risposta era infraddoi, e alfin chiusa la bocca gli è rimasa, ché non gli era venuto un complimento da fare a quelle un bel ringraziamento. Un risolino e un abbassar di testa per quella volta esser dové bastante.

Talor diceva: Io fui da quella matta; non poteva sbrigarmi dall'assedio: quand'io ci son, non val che la combatta perché mi lasci andar; non c'è rimedio. La mi guarda languente, contraffatta; la trae sospiri, ch'io muoio di tedio. Le puzza il fiato , quando l'ho presso, ch'io soffrirei piú volentieri un cesso. La dama gli avea dato qualche volta del matrimonio con Terigi un cenno.