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La vecchia Dorotea, la quale, fin dal principio, quando s'accorse che l'abatino non volle prendere da lei l'imbeccata, come le sarebbe tornato acconcio, non parlavagli mai, se non per mortificarlo o dirgli villania, quel , punta dalla voglia di saper come e perchè mai il padrone non fosse tornato ancora, entrò nella saletta, col pretesto di metter ordine a qualche cosa; e cominciò a stuzzicar con mezze parole il giovine Celso, il quale, sprofondato nella sua lettura, non le badava punto poco.

Anche nella saletta da pranzo, via i libroni, gli scartafacci dei Patriotti viventi, spirava un'aria ammodo, con un odorino di tartuffi delizioso; la tavola, piuttosto piccola, scintillava di cristalli e di argenterie in mezzo alla luce raccolta.... Tutta roba quella, mandata dal Cova; il garzone che l'aveva portata, aspettava in cucina, dando intanto una mano a preparare i piatti.

Questo era il breve dialogo che ricorreva ogni sera, intorno alle dieci, e da anni parecchi, tra il signor Commendatore e la sua governante; quegli dalla sua camera da letto, dove stava terminando di leggere i giornali, questa da una saletta vicina, dove stava aspettando i cenni del padrone.

Nora, stizzita, si sbottonò d'un colpo, con una sola strappata, la giacchettina blu dagli occhielli un po' logori, poi brontolando, cominciò a camminare in su e in giù per la saletta.

Lo vuoi proprio? Non posso volere con voi. La mattina seguente Bice arrivò in casa di De Nittis alle dieci e mezzo; egli stava ancora nella saletta da pranzo, a tavola, leggendo il giornale. La fanciulla, che aveva rimandato il servitore alla porta, diede subito con un sorriso la mano alla governante. Margherita, vengo anch'io a lavorare con voi.

Spiò dall'uscio: era Nora. Aspettò un momento, tornò ad allacciarsi i cordoni della veste, e poi entrò nella saletta, tranquillamente. Evelina era andata alla finestra per prendere un po' d'aria e per vedere se "quell'altra" era tornata sola. Nora veniva allora direttamente dai Giardini, dopo la scena con Pietro Laner: era ancora sossopra, imbronciata, nervosa. Non voleva parlar con nessuno.

Sullo stipetto, piatti, bicchieri, forchette, cucchiai, coltelli, qualche bottiglia, qualche vaso di creta. In fondo, una porta senza battenti che lascia vedere una saletta e l’uscio di scala. Accanto a questa porta, una seggiola. A destra, un’altra porta. A sinistra, una finestra. ANGIOLINA e PORTINAIO.

La signora Emma e Filippo entrarono in quella saletta dal pavimento a piastrelle bianche e rosse, dove il conte e la fanciulla avevano concertata la fuga; Filippo notò subito, sopra una mensoletta di legno, una figurina di biscuit, che abitualmente era sulla tavola, e che un giorno la ragazza andava girando e rigirando, mentre l'amico le susurrava all'orecchio parole ardenti d'amore e speranze di giorni felici.

Ella tornava spesso a contemplarlo dentro quella cornice dorata nella penombra del salotto pieno di poltroncine coperte di piccoli tovaglioli merlettati. Ma invece di mangiare nella cucina, quando c'era lui, desinavano in un'altra saletta a una tavola rotonda, con due credenziere al muro colme di piatti e di vasi. Allora Tina era andata anche a scuola.

Ella restava quindi nella saletta d'ingresso sopra una panca a pensare nel proprio abbandono, finchè si metteva a piangere nuovamente, con l'orecchio teso ai rumori della scala, come se dei fantasmi salissero spaventosamente insino alla sua porta.