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O sventura, e fia ver? Caduto in fondo Di rea fortuna, che non tien mai fede, Il gran popol vedrem, che, a niun secondo, Di Quirino parea l'unico erede? Colui vedrem, che impallidir fe' il mondo, L'armi chinar d'un vincitore al piede? Al piè d'un vincitor, deposte in guerra, L'armi, che gi

Calò dal cielo estremo L'augel fulvo di Giove, e le saette A l'audace apprestò lupa di Remo. Sorge Quirino; al lampo Del suo brando forier d'aspre vendette Crollano i troni; da la terra a l'etra A le vittorie sue piccolo è il campo; Mentre fra'l suon de l'armi Echeggian d'Ennio i carmi, Di Plauto il riso e di Maron la cetra.

E perchè, perchè si conserva, ora che le sorti di Roma sono di tanto cangiate? Ma, per Quirino e per Venere genitrice, chi è che li fa, questi forti Romani? Noi! Finora no. I nostri mariti trionfano in cocchio; noi andiamo umilmente a piedi.... e non c'è mica occasione di trionfi, per noi. Eh via, s'ha da credere?

Che scena, sor Ghetano mio, che scena! Li portorno via morti, poveracci! Sur sangue ce buttorno un po' de rena, E poi vennero fora li pajacci. Fanno ar Quirino 'na tragedia in prosa Che si la vedi, fio, te fa terrore. Er fatto è quasi uguale ar «Trovatore», Ma er fatto proprio, è tutta un'antra cosa. C'è er prim'omo ch'è l'asso!

Quinci addivien ch'Esau` si diparte per seme da Iacob; e vien Quirino da si` vil padre, che si rende a Marte. Natura generata il suo cammino simil farebbe sempre a' generanti, se non vincesse il proveder divino. Or quel che t'era dietro t'e` davanti: ma perche' sappi che di te mi giova, un corollario voglio che t'ammanti.

Quinci addivien ch’Esaù si diparte per seme da Iacòb; e vien Quirino da vil padre, che si rende a Marte. Natura generata il suo cammino simil farebbe sempre a’ generanti, se non vincesse il proveder divino. Or quel che t’era dietro t’è davanti: ma perché sappi che di te mi giova, un corollario voglio che t’ammanti.

Quinci addivien ch'Esau` si diparte per seme da Iacob; e vien Quirino da si` vil padre, che si rende a Marte. Natura generata il suo cammino simil farebbe sempre a' generanti, se non vincesse il proveder divino. Or quel che t'era dietro t'e` davanti: ma perche' sappi che di te mi giova, un corollario voglio che t'ammanti.

Eh, non lo si sa? ragione di più per cincischiarlo. È la lingua alla moda; che importa non saperla? ci si prova ugualmente e si fa quanto basta per disimparare la propria. E non è solo la lingua che si perde; è il costume che si corrompe; è la fibra romana che s'infiacchisce. O padre Quirino! Ancora non sono i cent'anni da che Pirro minacciava di abbattere la giovine potenza romana; son forse venti, che, dopo la strage di Canne, Maertale consigliava d'incalzare alle porte di Roma; Cartagine è in piedi; Annibale è vivo ancora e fremente vendetta; e gi

Quinci addivien ch’Esaù si diparte per seme da Iacòb; e vien Quirino da vil padre, che si rende a Marte. Natura generata il suo cammino simil farebbe sempre a’ generanti, se non vincesse il proveder divino. Or quel che t’era dietro t’è davanti: ma perché sappi che di te mi giova, un corollario voglio che t’ammanti.

Et replicentur litterae ad illustrissimum Ussonum Cassanum Ex. suae superioribus mensibus scriptae. Deque his omnibus detur notitia suprascripto ser Andreæ Cornario et ser Lazaro Quirino, qui rem ipsam praticare et iuvare poterunt, sicut autem fecerunt. Secreta XXII, p. 67. 1464, 26 Septembris.