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E passò sulle mie spente membra il sinistro orror della rivolta. Ebbi un piccolo viso di sognante bambina, bronzeo sotto il nero casco dei ricci. Modulai nel gergo basco le canzoni del vento e delle piante. Due stracci in croce mi facevan bella; il mio fiato sapea di fior silvano; per un soldo, nel palmo della mano, lessi la buona e la mala novella.

Gran scudo imbraccia a la sua commesso; Pregio immortal, dal gran tonante eterno. Il ch'ei spinse col gran scudo istesso I rubellanti dal gran ciel superno; Quivi timor, quivi terrore impresso, Quivi era orror del tenebroso inferno; V'era che 'n alto, abbominati esempi, Ergea gran seggio il regnator de gli empi.

In su la destra e su la manca riva Foltissime innalzarsi orride e dure Quercie vedeansi; e non giammai s'apriva Strada a' raggi del sol per l'ombre oscure; E di loro ogni tronco al ciel saliva Non mai percosso da villana scure, mai soleasi al bello orror selvaggio Far da' pastori o da gli armenti oltraggio.

Qui, dal tragico orror de l’ospedale, Nel nome vostro un voto al mondo io grido: Quanti ha figli la terra abbiano un nido Pieno di canti e d’ale: Quanti ha figli la terra benedire Possan la dolce casa ove son nati, E in essa, calmi sorridendo ai fati, Di fronte al Sol morire. ¹ Brugna.

Mirabile soggiorno; in lui riposo Ricercando AMEDEO ripose il piede, E di MAURIZIO sopra il dir pensoso Appoggia il fianco ad un bel tronco, e siede; Ma pur su l'erba, e tra le piante ascoso Con lo sguardo infernal Megera il vede, E tra gli orror de la gentil dimora Pensa di far, che nol temendo ei mora.

Seco non poche; e dal gentil sembiante Vedeansi sfavillar magnanime ire, Mentre col passo de le vaghe piante Movono in atto di guerriero ardire, E sotto bianchi lini aura volante Loro rabuffa il crin. Tali apparire Sul muro, ove s'impiaga, ove s'ancide, Infra 'l comune orror, Folco le vide.

sai, quella che ti assilla insino al fondo, l’inconfessato orror della vecchiezza sola, senza una casa, una carezza, un bambino, un perchè d’essere al mondo....

Indi a' suoi duci egli parlò: prendete Ciò che di forte in Rodi oggi dimora Per mover guerra, e nel gran pian scendete, Che de gli assalti omai vicina è l'ora; Altro dirvi non deggio, usi voi siete A la virtù, che vostri nomi onora; Ed io, come è degno, ho da provarmi Con esso voi nel grande orror de l'armi.

ATTILIO. La fortuna traditora pur mi lusinga con nuove speranze, e pur le credo. Costui mi dice che mi renderá contento, e son certo che è impossibile, e pur mi piace d'intenderlo. TRINCA. Stammi allegro, padrone, ché è trovata la tua vera sorella. ATTILIO. E questo è il mio dolore. Ma sempre che sento nominar sorella, sento un orror scuotersi per tutta la persona.

COS. , la Costanza. Io, Scipio, io sol prescrivo Limiti e leggi al suo temuto impero. Dove son io non giunge L'instabile a regnar: chè in faccia mia Non han luce i suoi doni, orror le sue minacce. È ver che oltraggio Soffron talor da lei Il valor, la virtù; ma le bell'opre, Vindice de' miei torti, il tempo scopre. Son io, non è costei, Che conservò gl'imperi; e gli avi tuoi, La tua Roma lo sa. Crolla ristretta Da Brenno, è ver, la libert