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Quando entravo nel circo, ai delle rappresentazioni, le damine galanti, nascondevano per celia i loro catellini avanesi, fingendo di temere che li dovessi divorare belli e crudi, e ridevano. Ho avuto sempre cura d'analizzare i moventi delle risoluzioni repentine della mia vita, le quali furono per buona sorte poche.

Forse l'avevano smarrito alcuni signori usciti quando entravo io. L'apersi, e gli occhi, mi caddero sul passo dove si accenna alla leggenda del Diletto, che mi duole ancora di non conoscer bene, di non sapere a qual popolo appartenga. Mi fece, forse anche per il luogo e l'ora, una impressione tale, mi sentii così improvvisamente rivivere il cuore che n'ebbi sgomento e affanno. Non volevo!

Una lettera suggellata. Ah! è di mio nipote... Me l'ha consegnata il fattorino mentre entravo da voi... Qualche appello alla borsa. Leggetela e... datemi quei fogli... Permettete? Ah! l'imbecille! Che cos'è stato? Scusate... (Legge con più avidit

Spesso entravo all'improvviso nella stanza della nutrice, palpitando così forte che temevo ella udisse i battiti. Si chiamava Anna; era una femmina di Montegorgo Pausula; esciva da una grande razza di viragini alpestri. Aveva talvolta l'aspetto d'una Cibele di rame, a cui mancasse la corona di torri. Portava la foggia del suo paese: una gonna di scarlatto a mille pieghe diritte e simmetriche, un busto nero a ricami d'oro, da cui pendevano due maniche lunghe dove ella di rado introduceva le braccia. Il suo capo si levava su dalla camicia bianchissima, oscuro; ma il bianco degli occhi e il bianco dei denti vincevano d'intensit

Nascose in fretta calendario e foglietto sotto al grembiale, e fare cenno a Giovanni con rapido aprir d'occhi. La zia s'avanzò col suo passo grave, squadrò, i due giovani, e disse: Cosa fate voialtri due? Noi? rispose Lola. Nulla. Nulla, ripetè Giovanni arrossendo un pochino. Che cosa hai nascosto sotto al grembiale mentre io entravo?

Da mesi, io entravo nel mio studio con la stessa riluttanza con cui si penetra in un sepolcro che racchiude resti carissimi al nostro cuore.

Io contemplavo con tristezza le ultime faville che salivano al cielo, pensando che, spenta la fiamma, manca la luce e il calore e non resta che fumo, cenere e carboni. Dentro di me sentivo il vuoto, di fuori vedevo buio, la vita mi sembrava un viaggio notturno in globo areostatico, sotto un velo di nuvole che copriva le stelle. Con tali disposizioni entravo nella stagione d'inverno.

Di' mi chiese un giorno, con la bocca amara se tu ci pensi, non hai ribrezzo di me? Ah, che brutta cosa! E fece un atto di disgusto su medesima; e s'accigliò, e si ammutolì. Un altro giorno, mentre io entravo nella sua stanza, ella si accorse che un odore mi aveva ferito. Gridò, fuori di , pallida come la sua camicia: Vattene, vattene, Tullio. Ti prego! Parti. Ritornerai quando sarò guarita.

Stelle senza numero avevano brillato nel cerchio della mia anima infinita; i peccati gloriosi erano stati miei, mia la bellezza d’ogni cosa fuggente, le ghirlande lievi che si colgon dai giardini terrestri, mia l’esclusione di tutti i cilici e mia, con lo splendore d’una gemma, la serena, dolce, inafferrabile vita che passa... Ora entravo nel buio dolore di Cristo.

Entravo nei teatri senza pensarci, arrivavo in platea coll'occhio fisso e i capelli ritti, ed a mezzo d'un pezzo musicale, o d'una scena drammatica che teneva l'uditorio affascinato, urtavo dieci persone per raggiungere un conoscente, a cui domandavo con affanno: Non sai che sia avvenuta qualche disgrazia sul Monte Bianco?